Cappelletti, che V Investitura ecclesiastica (V.) a’vescovi, agli abbati e al patriarca soleva darsi dal doge solennemente nella basilica di s. Marco. L’esercizio costante di questo diritto, incominciato sin da’primi tempi della veneziana consociazione e continuato per tanti secoli,era dissimile da tutto il resto della Chiesa cattolica questa disciplina ecclesiastica de’veneziani. Ninno ignora le funeste discordie tra il sacerdozio e l’impero a cagione appunto dell’invesliture (die diffusamente narrai in tanti articoli, cioè esigevano i Papi che gl’imperatori non avessero ad ingerirsi nelle nomineecclesiastiche, le quali venivano per lo più fatte simoniaca-njente; e gl’ imperatori sostenevano pure, che i vescovi e gli abbati,siccome in possessodi terre e benefizi, dovessero ricevere da loro l’investitura, colla tradizione del Pastorale e dell’ Anello, al paro degli altri signori feudali), massime a’ tempi del Pontefice Innocenzo 111 e del-1’ imperatore Arrigo V (sarà meglio il dire Papa s. Gregorio VII e gl’immediati successori, massimePasquale II, clie condannarono tali investiture, e gl’imperatori Enrico IV e il suo figlio Enrico V, sotto il quale colla Pace Calistina nel 1122 ebbe fine la grave controversia. La convenzione di Papa Calisto II determinò che in avvenire i vescovi e gli abbati fossero eletti dal clero e dal popolo, alla presenza dell’ imperatore o de’suoi legali ; che I’ eletto giurasse fedeltà all’imperatore, e che questi nella tradizione simbolica de’ beni, si servisse dello scettro, e non dell’anello e pastorale, come faceva prima abusivamente. Concordato che ratificò il concilio generale I di Lalerano). Eppure il doge de’ veneziani 5 secoli prima di quell’età, ed altri 3 secoli dopo, investì pubblicamente gli abbati, i vescovi e persino l’istesso patriarca, senza che vi sia stata giammai opposizione veruna per parte della s. Sede. Soltanto notifica Benintendi Ravagnano, cancellier grande della repubblica nel 25 i 352, che circa il i 135, a’tempi del doge Polani, erano insorti gravi dissapori tra la signoria di Venezia, e il Papa Innocenzo II, perchè nell’elezione della badessa di s. Zaccaria, il patriarca di Grado, Enrico Dandolo, uomo di coscienza delicatissima, si sforzava di negare aldo-ge il diritto, perchè giustamente lo diceva contrario alla ecclesiastica libertà. 11 patriarca si recò a Roma più volte, ed il Papa ne assunse la difesa; quindi processi e censure fulminate dalla s. Sede contro il doge e la repubblica; quindi proscrizioni, esilii, confische de’ beni dal doge e dui senato, contro il patriarca eil i suoi fratelli. Durarono le discordie intorno a 15 anni, e frattanto da Roma furono scritte lettere a’vescovi dello stato, fu ro no‘persi no mandati 4 cardinali a trattarne la riconciliazione. Finalmente nel i i5o, il doge Domenico Morosini e Papa Eugenio 111 vennero ad amichevole componimento, per cui fu stabilito, che in avvenire il patriarca, i vescovi, gli abbati e le badesse avessero l’investitura dal doge e riconoscessero la loro dignità per s. ÌÌJarcum. Il Cappelletti riporta l’intero racconto del Benintendi, ed eziandio il rescritto pontificio ed il ceremonia-le usato da’dogi nel dare l’investitura a’ prelati del dogado, inclusivnmente a quella del primicerio e cappellani di s. Marco, come già dissi nel § VI, n. i. Rileva il eh. scrittore, che a ben considerare il pontificio rescritto, poco o nulla venne cambiato dall'antico e primitivo rito dell’iuvestiture conferite dal doge. Ne fu tutto al più sconvolto 1’ ordine, perchè dopo l’elezione, fatta certamente dal doge e dal senato, in conseguenza della proposizione del clero o dell’esibizione del- lo stesso che vi aspirava, n’è prescritta la conferma del patriarca ; si noti, del patriarca, non del Papa. Dopo la conferma il primicerio di s. Marco, ovvero un cappellano ducale, dava all’eletto il possesso del suo benefizio in nome di s. Marco. E qui osserva lo storico, che il