stina grandezza.— I tanti pericoli,die dal principio del secolo XVI minacciavano la repubblica all’interno e all’esterno, la dolorosa sperienza più volte rinnovatasi di quanto poco gelosamente fossero custoditi i segreti dello stato, il bisogno di un’autorità capace per riputazione, segretezza, pn>nto operare a contenere ¡nobili entro i limiti dell’eguaglianza e del dovere, mossero il consiglio de’Dieei,d’ac-cordo col senato e col maggior consiglio, adare neli53q un definitivo ordinamento a quella magistratura a cui fin da due secoli addietro crasi sempre ricorso a modo di provvisione ne’casi urgenti, e quan do la salvezza della repubblica il richiedeva, cioè gl 'Inquisitori di slato. A questo nome spaventevoli idee sogliono ricorrere alla mente: un tribunale misterioso, indipendente , che giudica in via sommaria, senza forma di procedere, sopra semplici delazioni. La sala di sue sedute parata a nero, debolmente rischiarata da torcie gialle, scale segrete che mettono a’Piombi o ad orribili sotterranei, una barca che conduce le vittime ad annegare nel Canal de’Marrani; l’abbo-minevole sedia, su cui talvolta, nella sala stessa, alzata la cortina, vedeasi strozzato il colpevole; tutto quanto l’immaginazione può creare di più atroce e strano fu accumulato a carico degl’inquisitori di Venezia. Ciò che la poesia e il romanzo propalarono, la Storia della repubblica di Venezia del conte Pietro Darò scrittore e ministro di stato sotto Napoleone 2, che levò di se tanto grido al suo apparire in Francia e che divenne perciò la più diffusa e letta anche altrove, confermò co’pretesi statuti da lui trovali in un esemplare della biblioteca del re a Parigi; statuti contro i quali si levarono, olire altri, il conte Gian Domenico Tiepo- lo, Discorsi sopra la storia di Venezia, Carlo Botta, Storia d’Italia, e sopra tutti il prof. Samuele Boaianiu con apposita opera ricordata nel n. 6 del § XVI i, e colla più volte encomiata Storia do- 347 cumenlala di Venezia, di cui vado profittando, nel t. 6, p. 67, in cui v’impiega l’intero cap. 3, e col Capitular dclli Inquisitori distato,che in originale fa parte della ricchissima collezione di cose ve» neziane possedute dal cav. Emanuele Cicogna. 1 quali lodati scrittori,de’sediceu* ti statuti pubblicati dal Darù, con buone ragioni e documenti ne dimostrano la falsità. Non bastando quanto erasi scritto contro, avanti l’opere del prof. Roma* nin, poiché restava ancora a sapersi se gl’inquisitori avessero avuti altri statuti e quali, il medesimo mercè gli studi critici e coscienziosamente fatti anche su quest’argomento, potè essere in grado di seguire a passo a passo lo sviluppo storico del famoso tribunale degVlnquisilo-ri di stato in Venezia, di esporre le verdeggi che lo reggevano, di giovarsi perfino delle memorie autografe di uno degl'inquisitori, con che spera fondatamente la verità sarà finalmente a trionfare e si raddrizzeranno le false idee. A proposito delle quali, egli non potè astenersi dallo stupire fortemente, che il conte Darù, nella sua qualità di storico e critico, abbia potuto tenere per buona moneta quegli statuti e gloriarsi della scoperta.» Nel che, se pur non vogliamo cercare, come pltri fece, un fondo di malevolenza , ed un desiderio di annerire a tutto suo potere la tinta sotto cui si compiace rappresentare il veneziano governo (per ¡scusare le infamie e le spogliazioni francesi del 1 7g7);non possiamo certonou deplorare un nuovo esempio di quanto facilmente l’immaginazione,signoreggiata da un qualche ritrovamento creduto nuovo ed importante, faccia velo al giudizio ed impedisca un ponderato esame delle basi sulle quali quel ritrovamento si appoggia. Ed in fatti tante sono e sì manifeste le ragioni estrinseche ed intrinseche che concorrono a dimostrare quel documeuto un impasto assai rozzamente fatto di leggi esistenti e di leggi immaginate, di tradizioni popolari e di assurde