molestia al governo veneto e spesso corcano a spogliarlo altresì di qualche lena, attirandogli pei fino addosso il pericolo delle armi de’ turchi, i quali con esso si lagnavano delle molestie di quelle correrie, dicendo che alla repubblica in virtù del preteso dominio del golfo spettava di tenerlo netto da’ pirati. Si legge nella biografia del dotto prelato Minucci Minuccio di Serravalle nel Tre sigiano, segretario di Clemente Vili e arcivescovo di Zara, ch’egli fu impiega- lo in tutte le negoziazioni relative agli uscocchi, onde ne scrisse la Storia degli ¡¡scocchi con i progressi di quella gente sino all'anno 1602. La continuò fr. Paolo Sarpi fino al 1616 e la fece stampare in Venezia neli6i7. » Gli uscoc-chi, cosi nominati dall’ italiano scocco (transfuga), erano fuorusciti di Dalmazia, i quali non vivevano che del prò dotto delle loro piraterie e de’ loro ladronecci. Approfittarono della mala intelligenza che esisteva tra I’ Austria ed i veneziani, per fortificarsi, e desolarono per lungo tempo i sudditi delle due potenze, di cui una sola avrebbe bastato per distruggerli in alcuni giorni”. Laonde fino dal i548 avea il senato fatto <|uerele e raccomandato a Carlo V perchè que’ladroni fossero tenuti in freno, nè fosse loro dato ricetto in Segna, Fiume, Buccari e altri luoghi di giurisdizione imperiale, e anche fatto intendere, se continuassero i disordini, d’esser costretto a provvedervi. Si dice ch’erano pagati con soldo da’ sovrani territoriali per valersene a difesa delle froutiere, e perciò poco curavano di reprimere i ladronecci che commettevano. Con questi infesti nemici si unì anche il famoso corsal o Dragut allievo di Barbarossa. Inutilmente quindi passarono 7 anni, e le medesime lagnanze e le medesime preghiere si rinnovarono nel marzo 1555. Ferdinando I prometteva mettere riparo, chiamava il capitano di Segna a giustificarsi, nominala commissioni, minacciava, ma in fou- 363 do nulla facevasi o nulla giovava; anzi dalla longanimità veneziana, incapace ormai di prender pronta e vigorosa risoluzione, degna de’ bei tempi della repubblica, fatti arditi anche altri, vedevansi talvolta e cavalieri di Malta e corsari ottomani e perfino papali, assalire e prender legni di Venezia con danno inestimabile del commercio. Non si deve tacere che anco i veneziani dal canto loro sapevano ricattarsene, e spesse volte a forza di maneggi diplomatici ottenevano soddisfazione dalle varie corti, ma intanto venivano a scemare i lucri e la sicurezza, e i capitali sempre più si ritiravano dal traffico per impiegarsi nell’ acquisto di beni fondi, di profitto men largo ma più sicuro, così allontanandosi Venezia sempre maggiormente dalla primitiva natura sua, dal mare a cui doveva tutta la passata grandezza, che le avea agevolato l’acquisto de’domimi che possedeva, onde poi ne provò i pregiudizievoli e funesti effetti. Frattanto il feroce Ferdinando Alvarez di Toledo duca d’ Alba, già governatore di Milano, allora viceré di Napoli, indispettito per le formali proteste fatte dal Papa Paolo IV in concistoro per macchinare esso con altri ministri spagnuoli contro lo stato papa* le, a’ 5 settembre ne cominciò l’invasione e diè principio alla funesta guerra della Campagna romana, ossia delle provinole di Prosi none, e di Velle tri (F.), mente il Papa dopo essere stato provocato dal re di Francia a’rigori e alla guerra, si trovava da lui abbandonato, per la suddetta tregua conclusa alla sua insaputa. L’ingrato duca di Parma feudatario della s. Sede, con gettarsi nel partito spa* gnuolo,giunse a ricuperare Piacenza.Pao- lo IV tuttavolta potè in seguito ottenere un aiuto, condotto dal Cardinal Carafa legato inviato in Francia, ed un esercito comandato dal duca di Guisa, A tale avvenimento tutta Italia fu in moto, si ridestarono lesolitesimpatie francesi. Vogliono alcuui, che se il duca, seguendo i