154 fuori; sua prosperità essere fondata sui commerci, interrotti i quali non potrebbe evitarne Io totale rovina ; però piacesse a Sua Santità d’aver i veneziaui per ¡scusati, come già altre volte eralc compiaciuto di fare, mentre per l’onore e la grandezza della repubblica, comesempre, sarebbesi mostrata devotissima e pronta a soddisfare ad ogni suo desiderio in tutte cose potesse. lJer Io stesso motivo, d’evitare ogni occasione di guerra io Italia, larepubblica avea accomodato anche col Carrara alcune vertenze insorte sulla giurisdizione dell’ isola di s. ilario; e parimente avea accordate quelle cogli Scaligeri pel transito del Po; non che nel i3r>2 rinnovata la tregua di 5 anni coll’imperatore greco, limitandogli acquisti de’propri sudditi nell’ impero, pel timore che per potenti interessi avr ebbero poluto in seguito dalla patria alienarli. Temendosi nuova rottura co’genovesi, governati dal doge Gabriele Adorno d’alto ingegno e di forte indole, adoperavasi a mantenersi in buoni rapporti con Costantinopoli. Però tutte quest’opere pacifiche restarono sconvolte dalla formidabile rivolta in Candia, in Canea, Retimo, in tutta l’isola, agl’indigeni essendosi uniti i veneziani ivi dimoranti. Il senato volle tentare co’ribelli cretensi le vie più miti, ma fu costretto ad espugnare l’isola, a mezzo del valoroso capitano veronese Luchino del Verme, partendo da Venezia le imponenti forze marittime e terrestri a’io aprile1364, sec0 portando Pietro Morosini nominato governatore generale della spedizione. Tosto fu sottomessa l’isola, puniti i ribelli colla morte, col carcere e col bando. La ribellione de’ candioti,suscitata dall’ambizione de’ potenti veneziani coloni, terminò gloriosamente con una sola ma sanguinosissima battaglia;e si ascrissealla sollecitudiue ed ni vigile accorgimento del doge sì pronta e cospicua vittoria.Giunto il lietoannun-zio in Venezia a’4 giugno della ricupera di Candia, immensa fu la gioia e gene- rale. Furono ordinati per 3 giorni solenni atti di grazie a Dio, ben sapendo il religioso doge Celsi, come nulla retta-mente e felicemente si faccia se da Dio non s’incomincia; quindi processione del popolo alla basilica di s. Marco, ove fu celebrata solenne messa, e distribuzione di limosine.AI capitano del Verme furono assegnati in premio iooo ducati l’anno, e si scrissero lettere annunziatrici del lieto evento al Papa, agl’ imperatori Carlo IV e Giovanni I, al re d’Ungheria e ad altri principi. Le feste furono splendidissime, e tali che meritarono di venir descritte dall’aurea penna del facondo Petrarca, il quale allora appunto tiovavasi a Venezia, con lettera a Pietro Bolognese, ed avea donato i suoi preziosissimi codici alla biblioteca Marcióna che allora si fondò dal doge (veramente per allora nulla si fece, celebrandosi il Cardinal Bessa-rione vero fondatore della biblioteca, i di cui inizi risalgono al dogadodi Celsi pel dono a lui fatto dal Petrarca per conservarsi in luogo sicuro ond’essere frequentato dagli studiosi con diletto e utilità. Pare che i codici donati fossero intanto deposti ni uno stanzino sopra la chiesa di s. M arco. Andati dispersi o forse non tutti consegnati, sembra probabile che i superstiti sieno 3 esistenti; cioè un Poema latino del Pace sulle Marie; uu Messale del secolo XII ad uso di qualche monastero francese ; la Terapeutica di Galeno tradotta in latino nel 1297 da Borgondio Pisano). Questi stretto amico del Petrarca, che per amore di lui avea fatto il dono l'aro, fece sì che la repubblico in ricambio rimunerasse il gran poeta, secondo i di lui desideri), coll’ offerta d’una nobilissima casa, presa a fìtto, al ponte del s. Sepolcro, sulla riva degli Schiavoni, che fu dal Petrarca per non breve tempo abitata. Essa era il palazzo già de’Molin detto delle due Torri, che in seguilo demolito, altro non vi rimane che il portone e forse qualche muraglia. Il Petrarca nella lettera, dopo aver altamente lodata Vene-