apposite tavolette, che si appendevano all'uscio o a’balconi delle botteghe, come tuttora in Venezia si costuma di fare, i parenti del defunto, se questo della classe patrizia, raduna valisi nel dì seguente alla sepoltura nella corte del palazzo ducale e ne’portici di Rialto, ed in ¡schiera disposti ivi ricevevano le universali condoglianze, le quali consistevano nel toccar loro la mano senza proferir parola. In questa luttuosa circostanza assumevano un mantello nero affibbiato sotto la gola e con grande strascico,il quale poi in determinati periodi si accorciava e tagliava in guisa, che all’ultimo rimanevano col mantello assai corto. Ripigliate in appresso le ordinarie vestimenta, portavano eziandio per alcun tempo la cintura di cuoio in luogo di quella usuale di velluto, in segno di duolo e di Lutto. — Sebbene il cav. Mulinelli tratta degli Schiavi al capo IV, trovo opportuno qui con lui parlarne. Felice è l’età nostra, se dall’Europa estirpata la schiavitù, e per unanime consenso delle nazioni si studia d’abolii la anche nell’altre parti del mondo, vedemmo eziandio un Gregorio XVI solennemente riprovarla. Anco in Venezia un tempo fu 1’ Uomo considerato nulla più d’una merce, privato del godimento de5 propri diritti, trafficato e disposto come di qualunque altra masserizia. Ivi era estesoedi sommo lucro questo inumano e degradante commercio, e la Dalmazia, la Grecia, la Romagna, il ducato di Bari, quello di Benevento e la Toscana erano i parchi ove eseguivasi la miserabile e obbrobriosa caccia. Crudelmente marchiate le guancie e la fronte degl’infelici con tagliente ferro onde poterli conoscere, venivano poi venduti a’pagani dell’Africa, Invano i Sinodi provinciali e altri proibirono severamente quesl’infaiue commercio; invano dal f aticano si scagliavano anatemi contro i trafficatoli ; il cupido amore del guadagno cedette allo scrupolo, io onta allo stesso regime re- 487 pubblicano, e nello stesso porto romano d’Ostia tanto vicino all’alma città donde partivanolepontificiescomiiniche, i veneziani caricavano i loro navigli di schiavi. Nè questo dannato mercato, nè l’uso d’aver degli schiavi al proprio servigio furono dibrevedurata.Negliarchivi veneti vi so-nocontratti di compra e vendila di schiavi chegiungonoal XVsecolo. Ogni persona agiata in maggiore o minor numero ne possedeva ; tanto è vero che fu trovato come un ripiego non lieve nell’ esausto erario per la guerra di Chioggia l’imposizione di 3 lire d’argento al mese ad ogni proprietario di schiavi. Essendo pertanto costoro numerosi, e malamente pensando il popolo veneziano, che libero nato e libero cresciuto sarebbe stato un avvilirsi occupandosi d’opere abbiette e servili, venivano tutte queste eseguite dagli schiavi. Forse non è improbabile che pure nelle gondole remigassero, come si ha da un quadro del Carpaccio disegnatore fedele de’patrii costumi : nato nel i45o circa, morì nel l 522. Da qui forse la popolaglia di Venezia può aver ereditalo l’invincibile ripugnanza che nutre ancora per 1’ opere faticose e propriamente servili ; misero pregiudizio, per cui si contenta di languire colle vesti a brani in riprovata miseria, piuttosto che procacciarsi quel pane, che rapito gli viene dagl’industriosi individui, che emigrano dall’alpi Giulie e dalle Carniche, i quali sono a Venezia come i galliziani a Madrid e que’ d’Alvergna a Parigi. Giovani t robusti erano gli Schiavi; dappoiché non si acquistava uno schiavo che 11011 fosse perfettamente sano di mente e di corpo, o avesse qualche membro offeso, o patisse d’epilessia. Il padrone lo dominava con pienissima podestà; poteva vénder- lo, darlo in pegno, obbligarlo altrui, pi-gionarlo, riprenderlo, e testando legarlo. Era però in suo potere I’affrancarlo, e così appunto fece il celebre viaggiatore Marco Polo,liberando da ogni vincolo di servitù il suo schiavo Pietro, cori testa-