I nezia restò solo incontaminata soltanto dalle mode straniere nella foggia delle vesti de’magistrati, benché col tempo an-ch’esse provarono alcun cambiamento. Per cominciare dall’abbigliamento del doge, la forma di sua berretta notabilmente si alterò da RenieroZen del 1252, che la fregiò d’aurea corona; nel i 361 da Lorenzo Celai che vi aggiunse la croce; nel i4y3 da Nicolò Marcello,che la volle tutta d’oro;efinalmente nelXVI secolo,in cui si portò a tale la ricchezza di questa berretta o corno ducale,che il valoredi quello, col quale s’incoronavano i dogi, montava alla somma di ben 15o,ooo ducati, e si custodiva diligentemente nel tesorodi s. Marco. Indi sotto questa berretta si aggiunse un Camauro di rensa (sorta di tela di lino bianca e assai fina a opera, denominata anche rensoj fu cosi detta dalla città di Rens in Francia, o Reims, ove probabilmente si fabbricava: tale camauro si disse anche cuffia e ne riparlerò nel ricordato n. 3 del § XIX) che ricuopriva con accuratezza il capo del doge (dice il Sansovino, che si considerava questo camauro come insegna di persona sagra, rappresentandosi con quella una certa memoria del s. olio col quale s’ ungono alcuni re cristiani, non altrimenti come se questo principe fosse del corpo loro. La quale cùffia, oltreché avea sembianza di quella fascia ch’era già antica Corona de Re, aggiungeva molta grazia alla testa sotto il corno, il quale prendeva per quella mollo più fermezza pel suo riposo. Per singolarissimo privilegio poi assistendo il doge alla messa non si toglieva dal capo il camauro neppure al momento della consagrazione. Farò un’ osservazione: il Camauro é una delle coperture del capo cle’Papi, ma di que’drappi e colori descritti in quell’articolo. Se l’usano, lo depongono non solamente nella consagrazione, ma anco venerando il ss. Sagra-mento esposto, come fanno del Berrettino usuale. Se tutte le concessioni che hanno relazione colle cose sagre derivarono 477 da’Papi, cotn’è possibile ch’eglino accordassero ad un laico quanto da loro non praticasi? So bene, e lo notai ne’rispettivi articoli, che a’ principi laici accordarono varie vesti sagre, comedi ministrare nella messa dagli stessiPapi celebrata;anzi quasi pare che dichiarassero i dogi accoliti della cappella pontificia,come dirò alla sua volta. Piuttosto io forse trovo più plausibile ragione, che imitando i primitivi dogi pure le foggie orientali, e questi insegno di rispetto tenendo coperto il capo, come rilevai in tanti luoghi, anco in questo l’avranno imitali i dogi. Valga per tutti la liturgia de’siri , i cui vescovi celebrano col capo coperto sempre da una specie di camauro , che pure ritengono nella cappella pontificia, anzi assistendoti Papa col capo denudatoci che vidi per molti anni, e registrai ne’ luoghi citati nel voi. LXVII, p. 3o). Il bavero di pelli d’ ermellini allungato venne a guisa di mazzetta , la quale affibbiavasi con bottoni d’oro; e di panno pur d’ oro si stabili che nelle solennità dovesse essere il manto, sempre però conservandosi purpureo il calzare (come altri principi, a-vendone riparlato negli articoli Sandali e Scarpe). Il descritto vestiario del doge è prodotto nella tavola 12.“ I nobili abbandonato l’abito orientale assunsero, specialmente i magistrati, la Toga con larghe maniche e col cappuccio, con fodere nell’inverno di pelli di vai, di dossi e di faine, e di ermesino nell’estate. Differiva però il colore di queste toghe secondo la varietà degli uffizi ; come per esempio era purpurea quella de’senatori , violacea quella de’savi grandi e consiglieri, rossa quella de’capi del consiglio de’Dieci, degli avogadori e del cancelliere grande. Venuto poi in disuso il cappuccio , si sostituì ad esso una berretta rotonda alquanto larga, perciò appellata col ricordato nome di berretta a tozzo. L’effigie è nella tavola i3.a, e collo stolone pendente sulla spalla sinistra , del quale a suo luogo parlerò, cioè uel u. 5