6o4 virtù cattoliche cd oli’ acquisto dell’ uti- li scienze, cercando la via |>iù diretta e sicura a taul’uopo, in Aleppo trovati alcuni missionari gesuiti fece a loro la professione di sua fede cattolica, e fu incoraggialo da essi nel sublime proponimento di promuoverla fra' suoi connazionali eterodossi. Acceso vieppiù, d’ ardentissimo zelo d’ illuminare nel calto-licismo e nelle scienze la sua celebre nazione, ammaestrò alcuni ferventi catto Ilei per averli a utili cooperatori. IJive-mito vartabied ossia dottore,e perciò investilo della podestà di predicare e di comunicare ad altri la medesima dignità, predicò in vari luoghi la fede cattolica con molto frutto, e in altri inviò i suoi compagni, restando illuminati molti scismatici armeni de' loro errori che li separavano dulia Chiesa cattolica. Superate le persecuzioni degli ostinali, e volendo stabilire un ospizio per dimorarvi come in monastero co’ suoi compagni, risolvette portarsi con essi nel Peloponneso o Morea, sapendo che ivi a molti altri vantaggi quello pure si aggiungeva di vivere sotto il felice, religioso e mite governode’veneziatii.Giuntovi nel 1702, In repubblica veneta beuignameute l'accolse, e gli assegnò per dimora la città di Mudane o Me tona, ove il p. Mechi-tar co’ pubblici e privati soccorsi potè innalzarvi vasto monastero e bella chiesa sotto l’invocazione di s. Antonio abbate, col beneplacito di Papa Clemente XI. Ivi stabilì sottoil patrocinio di dello santo e la regola di s. Benedetto la sua monastica congregazione, di cui fu insieme fondatore e i.° abbate, approvandone le costituzionniel 17 11 la Congregazione cardinalizia di Propaganda fide. Nella professione religiosa aggiunse co’ suoi monaci il \ ° volo di predicar la fède cattolica tra gli armeni, il che eseguirono tosto propugnandone i dogmi, con quel successo che raccontai nel ricordato articolo. Ma divenuta la Morea teatro di sanguinosi combattimenti, perla fatalissima guerra dichiarata a Venezia nel 1714 da’lurchi pel suo riacquisto; guena durala ben 4 anni, ue’quali scorse a rivo- li il sangue de’ prodi veneziani e di loro milizie, che nel disputarne ¡1 possesso palmo a palmo, vittime innumerevoli furono sagri ficaie alla crudeltà e a’tradimenti del furioso nemico del nome cristiano, e tante famose ciltà rimasero per la valorosa opposizione miseramente distrutte. Intanto il p. Mechitur si trovò nella dura necessità d’ abbandonar la chiesa, il monastero e le loro rendite, e co’suoi inoliaci cercare rifugio in Venezia. Muniti di lettere raccomandatizie degli ambasciatori di Costantinopoli, de’ veneti governatori del Peloponneso e de’ comandanti di mare, in uno alle testimonianze di molti nobili veneti riputi iati, supplicarono la repubblica a conceder loro un monastero stabile; mentre la congregazione di propaganda fide li rac comandò al patriarca Barbarigo. Vinte alcune difficoltà di massima, il p. Meclii-tar ottenne dal senato l’8 settembre 1717 in proprietà per la sua congregazione l’intera isola di s. Lazzaro ridotta alla semplice condizione di ortaglia. Ne fecero la consegua i governatori dell’ospedale di s. Lazzaro de’mendlcauti, mediante piccolo annuo ti ¡buio. Assistito li p. Mechi-lar dal favore del governo e del patriarca, colle generose sovvenzioni degli armeni connazionali, in breve fece sparire lo squallore e le rovine dall’isola ; riedificò l’antica chiesa in più nobile e ornala forma con altari di marmo; costruì sugli avanzi cadentidel precedente chiostro e ospedale un ben ideato monastero; uè trascurò la coltura del restante terreno, sia nel giardino e sia negli orti, per sollievo e salubre esercizio, come pe’ bisogni della coni unità monastica. La celebre Stamperia poliglotta, ebbe principio vivente lo stesso p. ab. Mechitar. Tutto questo che vado rammentando, con più diffusione lo descrissi nel suo artico- lo, ove rilevai che presto l’isola di s.