che non solamente al genio di Aldo, ma eziandio alle penose ricerche e agli studi di que’ grandi uomini l'intero mondo esser deve debitore dell’impressione de’ classici restituiti alla natale loro integrità e purezza. La virtù però di Aldo era tale, che ben lontano di attribuire a se stesso tutto il merito, non lasciava di ricordare onorevolmente il nome de’suoi colleglli nelle prefazioni di que’molti libri a’quali essi aveano posta la mano. Aldo morì a Venezia a’6 febbraio15r 5 el’accadetuia durò ancora due anni. Ciò il Mulinelli afferma,citando Michele Bat-taggia, Dissertazione storica deli Accademie Veneziane,Venezia 1826. Co’suoi biografi dissi, ne’luoghi citati, Aldo morto nel i5i7, e che il figlio Paolo tentò di vivificare l’estinta accademia Aldina Manuziana, ne raccolse i dotti e pubblicò molti classici latini illustrati. In tempo di Aldo il Vecchio e prima della lega di Carnbiay del i5o8, ebbe origine l’accademia de’Pellegrini, in una villa alquanto selvatica, poco discosta dalla Laguna, villa che fu distrutta nel fervore delle guerre derivate dalla lega, cessando così pure I’ accademia. Nel i55o non bastando alla moltitudine degl’ingegni il conversare de’privati cerchi, opportunamente si pensò di ravvivar l’accademia de’Pellegiini. Conoscendosi però che alla celebrila d’ un’accademia olire la virtù e l’opere de’ soci, non poco giova anche il denaro ed un’entrata perenne, 6 onorali cittadini furerò generosi di fornir i mezzi a mandar ad effetto i grandiosi progetti della rinata accademia, largamente donandole poderi e capitali. Spiegò essa per impresa un falcone pellegrino, che teneva fra gli artigli un diamante; ed i soci adottarono per impresa uno scudo in cui era dipinto un cappelletto, un bordone, un nicchio, un sudario e altre cose usale da’pellegrini. Il motto dell’ impresa dell’accademia fu: Naturae et Artis opus. Quello de’ soci : Finiunt pariler rcnovantque labores. 46i Era presieduta a tempo da uno de' 6 anzidetti benemeriti cittadini, cui dagli altri 5 nell’elezione presentavasi d’una gran coppa d’argento, con entro scolpite l’arme della città e l’impresa dell’accademia. Questa era provveduta di pregevole biblioteca, e di due stamperie per pubblicare oltre I’ opere de’ soci anche l’altrui, di que’ letterati cioè impotenti di pubblicarle, dandosi in dono così alla repubblica letteraria quanto, senza queste cure generose, sarebbe rimasto miseramente sconosciuto. Le tornate si tenevano nelle case de’ soci, e negli ame* n issi mi giardini dell’ isole di Murano, della Giudecca e di s. Giorgio Maggiore. Si leggevano nelle pubbliche tornate i poeti e i prosatori greci e latini; nelle private, i poeti e i prosatori italiani. Tra loro regnava perfetta amicizia senza etichette di convenienza, ed aveano comuni i sollazzi e gli stravizzi. Principal dovere degli accademici era quello di non palesar mai di farne parte, e di vicendevolmente aiutarsi co’ lumi letterari e col denaro i bisognosi. Aiutavano ancora qiie’letterali che ne penuriavano, senza farne conoscere la provenienza, esercitando così la liberalità senza fasto. Dotavano le donzelle misere per agevolar loro il matrimonio, e provvedevano i poveri di nudrirnento e di educazione, un provvisionalo dell’accademia istruendo i fanciulli poveri nella volgare e latina favella. Venuto a morte un socio, addobbava* si con lappezzerie nere la sala dell’ accademia, con emblemi alle virlù morali dell’estinto, nel mezzo della quale posa-vasi la bara, collocandosi dirimpetto ad essa sotto un magnifico baldacchino l’effigie del defunto} si recitava l’orazione funebre, e si scolpiva in pietra l’epitallio. Tiziano e Sansovino erano dell’ accademia, la quale a prezzo generoso acquistava le loro opere, sì per animare que’ sommi a più grandi cose, sì per sollevare maggiormente con ciò la propria fama, come si ha da Giaxich, Memoria dell’ac- 52