6io gómente circoscritto a’ soli demeriti di nobile condizione , o di agiate famiglie capaci di compensare il dispendio del loro mantenimento; i pazzi plebei e poveri, se innocui, erravano per le vie, ludibrio del volgo e trastullo e scherno de’ ti’i vii; se violenti e pericolosi, veui vano rinchiusi nelle pubbliche carceri. Durò l’i-liumana consuetudine per oltre 72 anni; finché nel 1797 apparve manifesto ciò che per l’innanzi non era appena avvertito; essere biasimevole l’abbaudonare a’ viliiperii delle piazze o all’obbrobrio delle carceri gli sventurati che aveano smarrita la ragione, perciò solo che non erano uè nobili, nè ricchi. Indi la sovrana auto-rilà d’ allora ordinò, che anco questi venissero raccolti presso i religiosi ospedalieri, e ivi assistiti e alimentali a spese dello stalo; giusta, provvida e pietosa ordinazione mantenuta costantemente da’ governi posteriori. Anzi trovo nel-I’ Allocuzioni’ del eh. Malvezzi , che nel i8o5 il governo che cessava, assegnò l’intero legato del benefico ultimo doge Manin all’ospedale di s. Servolo. E così ebbe principio in Venezia la vera fondazione d’un salutare ospizio per gli aliena- li, aperto e sostenuto dalla pubblica pietà a benefizio generale di esseri tanto infelici e degni di compassione. Dall’ospizio partirono poi nel 1808 gli ammalati militari, sostituiti nel seguente anno da altrettanti infermi di malattie chirurgiche, d’ambo i sessi. Ma le donne furono escluse da questi nel 1829, e da’mentec-cati nel (834; e d'allora in poi il pio e benefico istituto rimase, cout’è al presente, un ospedale per la cura mentale di oltre a 200 alienati, e per la chirurgica di circa 80 infermi; sì gli uni che gli altri del solo sesso maschile. Notai però nel n. 4 ili questo §, che ora il manicomio femminile si va a formare nell’ isola di s. Clemente. Scrisse l’encomiato eloquente descrittore dell’ isola di s. Servolo, nel citato libro de’ Siti pittore-schi.» Chi muove dal aiargiueestremo de’pubblici giardini e volge la prora a mezzodì, s’incontra poco stante in un’isola , che nè per estensione di superficie, nè per mole e dignità di fabbriche nulla ha in se di maraviglioso, nulla che la facesse discernere dalle compagne sue, che abbelliscono questa partedelle nostre Lagune; se non fosse la naturale amenità del sito, e quell’incanto del sorgere improvviso degli edifizi d’in mezzo all'acque senza lembo di terra che apparisca sostenerli, e la perfetta conservazione loro, e una cei t'aria di nobile e agiata pulitezza che vi regna d’intorno, e la fede del senno e delle sollecitudini di chi là dentro presiede. Ma non appena si sappia esse-requella l'isola di s. Servolo,ogni esterna considerazione vien meno; gli occhi cessano, a dir così, l’oifizio loro; e il cuore e la mente oltrepassano d’un subito i confini del chiuso recinto. Perchè il nomedi s. Servolo ricorda le vittime della più grande fra l’umane sventure; onde avviene che mano mano che uno si accosti a quest'isola, quanto più ha la mente lontana dalla miseranda condizione in cui è quella degl’infelici che I’abitano, tanto maggiore sente nell'animo uu fremito di raccapriccio, un motodi compassione, un desiderio di soccorrere a’bisogni altrui. Qui l’uomo, perduta la sublime delle sue qualità, si fa spettacolo d’ abbiezione a’ suoi simili; la luce della ragione è spenta in lui, e questo solo fatto, perchè oscuro nelle sue cause e misterioso ne’suoi modi, da niuna prudenza mai saprebbe evitarsi, nè intendersi mai per forza alcuna d’intelletto. Indi la vista di que’sciagurati desta ad un punto profonda pietà e terrore inesprimibile. Sennonché il peso di tanti mali, che oggravano il demente, il pazzo, il maniaco , sembrano alleviarsi d’assai allorché si contemplano lo studio indefesso, l’industria operosa e la paziente assiduità, con le quali i padri ospitalieri di s. Giovanni di Dio, e il medico valente che aggiunge le proprie alle loro fatiche, si adoprano iu aiuto di que’uiise-