384 dell’elemosina bene spesso non essendo rugiada che irrori la vera miseria, e invece una pioggia che ne sprigiona più fecondo il germoglio, la povertà erasi ri-dolla a mestiere (i fuggi-fatica e mendicanti sani, Giustiniano I li chiamò peso della terraj, e quindi ora vestiva cenci non suoi , ora attorniavasi di prole altrui, ora mentiva piaghe e infermità, ed ora accarezzava le vere. Nelle strade, nelle piazze e persino nelle chiese strappava dalla cittadina carità tale copia di limosi uè, che bene spesso vinceva la meritata mercede del più industre e diligente artigiano. La fraterna di s. Basso , ricca di mezzi, scarsa di poveri, poteva sommi-nis trace talora a più d’un individuo descritto nel suo breve catalogo un giornaliero soccorso di due lire venete, anzi ad altro per lungo periodo 16 per settimana, e a degl’infermicci 20 settimanali. 1 poveri che contornavano i marmorei pili dell’acqua santa nella basilica di s. Marco, fruivano almeno quotidiane lire 8. Spettava ai dogi la concessione d’accattare in quel tempio, anche poveri ciechi. La tolleranza o concessione esclusiva della questua incerti luoghi, giungeva a formare un capitale di varie migliaia di lire. Una giovinetta costituì quasi in dote al suo sposo la concessione di questuare dopo la 1/ ora di notte fino alle 3 a piè del ponte della Canonica, e ne venne calcolato il provento in venete Iiiei2 per volta. I luoghi principali ne’quali o si permetteva o si tollerava una questua esclusiva erano il ponte della Pietà, quello di Cà di Dio sulla riva degli Schiavetti, di Iiivoalto, de’Pignoli a s. Salvatore, di Canonica a s. Marco, l'atrio di questa basilica e sotto l’arcate esternedella medesima. Il ponte della Canonica era uuode’più proficui pe’quesluanti, per esser l’approdo vicino al palazzo ducale residenza delle principali magistrature, e presso al più frequentalo quartiere della città , accorrendovi gran numero di gondole particolarmente de’ patrizi. 1 questuatili ap- pena figuravano ne’cataloghi de’poveri delle fraterne parrocchiali. Nel 1787 dal Pi nel li tipografo ducale fu impresso: Il Capitolare per le Fraterne dei poveri stampalo e pubblicato per ordine del Magistrato alla Sanità. In esso sì dividono gl’infermi, impotenti, vergognosi, poveri artisti meritevoli di soccorso , ì questuanti per lume. Sono esclusi dalle beneficenze delle fraterne gli aifitlaletti, i questuanti, e que’ che non avendo mai esercitato mestiere, non potevano esser compresi nella categoria di poveri artisti, masi riguardavano come miseri oziosi, immeritevoli d’assistenza. Conseguenze fatali e inevitabili della carità largita ad una simulata miseria, o troppo generosamente accordata alla vera, erano la perdita del decoro, l’odio al travaglio,l’abbandono all’ozio, e quindi nlla crapula e al vizio. Introdotti parecchi abusi nella libertà del questuare negli estremi anni della repubblica , il governo richiamò sovente le provvide leggi anteriormente emanate, e ne fornisce prova l’ultima Ter-ni inazione del Magistrato allaSanilà,a cui era addetta la sorveglianza sulla questua, in data de’7 giugno 1794. Di queste leggi il conte Priuli ne riporta un bel numero dali5o5in poi, con altre di-* sposizioni da cui si vede quanto al governo «la va a cuore la causa de’poveri,pe’qua-li emanò mirabili provvidenze. I bandi della questua, se non la vinsero, almeno ne frenarono i gravi disordini ; e tali s rinnovarono nel 1798, nel 1800, nel 181 1 e nel 1817 per l’istituita commissione di pubblica beneficenza che la sorveglia, e con una mano respinge il povero simula- lo, e coll’altra soccorre il vero, dirigendo la carità cittadina.» Ma questo salutare provvedimento, quantunquesoccorso dal bracciodella pubblica autorità,opponendosi al grave scandalo del furto commesso contro la povertà da una finta miseria, non può giungere ad impedire, che talora si eserciti clandestinamente, o nelle slrade remote, q neH’oscurità delle tg-