richi di marmi e di pietre elette per ornato della fabbrica, la quale a mano a mano divenne non solo monumento storico pe’ progressi delle belle arti, ma monumento ancora più solido per la gloria nazionale, e per l’amore de’popoli; mentre le spoglie destinate ad arricchirlo erano bene spesso il frutto delle vittorie riportate da’ veneziani sui loro nemici. Cinquecento colonne tra grandi e piccole, interne ed esterne, di marmi, per la preziosità più che per la mole insigni, arricchirono l’ediiizio, e venne da ogni parte aperto l’adito a’ valenti artisti in ¡scultura ed in musaico a compiervi ogni più squisito ornamento. Nè furono soltanto chiamati greci artefici, ma vi si impiegarono anche i veneziani, come prova il cav. Cicognara nella Storia della Scultura; mentre è ben da credere che gl’ italiani debbano esser volentieri accorsi a lavorare in Venezia, eglino che non ricusavano seppellirsi fra le cime degli Apenuini per occuparsi ne’ lavori di Subìaco e di Monte Cassino (FQuale poi sia stato l’architetto che innalzò tanta mole è tuttora ignoto, come pure se fosse greco o italiano. La bellezza e l’unità di pensiero nella ben distribuita pianta del tempio, attestano il valore di lui. Giudicherebbesi , a primo vederne il disegno, che l’inventore fosse stato e-ducatoalle più severe dottrine della solidità e del buon gusto; ed ove si ponga mente alla regolarità, alle giuste proporzioni, all’utile impiego dello spazio, cre-derebbesi il sontuoso edilìzio opera di miglior secolo, e d’ingegno non ottenebralo dalla nebbia che intorno al mille tutte avvolgeva Tarli italiane. Opportunamente il dottissimo Cicognara fa le se* guenti importanti osservazioni, intorno allo stile dominante in questo portentoso edilìzio. Siccome oggetto d’ogni pubblica cura, questo tempio andava ricevendo abbellimenti da tutte le sorgenti di prosperità nazionale,e i marmi che dall’Orieute venivano trasportali, ed in ¡specie da’ 45 luoghi ov’ erano immediate le relazioni de’ veneziani, attestano come col commercio e col cambio d’ogni altra ricchezza succedesse anche un mescuglio ed una specie di comunanza nel gusto dell’arli. Quindi ninna meraviglia se coloro ch’era-no di continuo in Alessandria, al Cairo, a Bagdad, tornavano alla patria carichi di ricchezze orientali e saracene, e di monumenti che tanto rassomigliano alle grandezze allora diffuse dagli arabi in tutta la Spagna.Ch\ conosce l’antichità di Cordovani Granata, e gli edilìzi saraceni [rimasti mSiciliajch'ì è in grado di separare ciò che di greco o di romano fu impiegato nelle fabbriche bizantine di Costantinopoli, da ciò che vi si andò mantenendo d'originario, troverà facilmente la ragione de’modi con cui è costrutta questa stupenda basilica di s. Marco. Non trattasi qui di decadenza neH’arti,o di corruzione nel gusto, ma vuoisi qui riconoscere uno stile a parte, determinato ed unico in tutta l’Italia, che non ha origine da alcun’altra causa ; e quantunque possa dal conte Cicognara esser opinalo che lo siile, volgarmente chiamato gotico, sia derivato esso pure dall’araba architettura, giova in tal caso fare la seguente distinzione. Questo stile che dalle Spagne si diffuse sotto i normanni e i bretoni, passando attraverso la Francia e le Fiandre sino in Inghilterra, e architettando quelle famose abbazie e cattedrali, di cui la pretesa riforma ci lasciò appena pochi ruderi, abbastanza per altro insigni per caratterizzarlo; quello stile diramatosi per tutto il nord, discese di nuovo per la Germania verso il mezzogiorno, particolarmente in Italia , come può vedersene l’andamento e le tracce nella cattedrale di Strasburgo , e nelle metropolitane di s. Stefano di Fienna e di Milano, modificandosi e scostandosi, a seconda d'una serie di combinazioni,dalla sua prima originaria araba derivazione. Ma qualora i veneziani si determinarono a seguire uno stile d’imitazione nel i .’ricco e soutuoso ediIìzio,che da essi ve- 5