le oceanica. I grandi capitali, prima impiegati nel commercio marittimo veneziano, gli furono ritolti allorché e’ cessò dal dare un guadagno sufficiente, e furono rivolti invece a comperare possidenze sulla terraferma. L’inclinazione al dolce far niente andò crescendo; i ricchi andarono consumando i guadagni de’pa-dii loro;i meno benestanti caddero a poco a poco in miseria. Il governo veneziano si fece animo ancora una volta per salvare un piccolo avanzo del commercio marittimo; ma non ricorse al vero mezzo. Fedele all’antico sistema, credette di rianimare il commercio di Venezia con proibizioni e con misure coattive. Nel 1728 il senato, avuto riguardo all’ antiche osservanze, in forza delle quali i sudditi della terraferma doveano soltanto ritirare dalla capitale tutte le merci provenienti dalla parte del mare, che servivano al loro consumo, ordinò che tutte le merci da consumarsi nel territorio delle provincie , anche se avessero pagato il dazio consumo, dovessero essere riguardate come contrabbando, qualora la bolletta di dazio non provasse ch’esse fossero state ritirate dalla capitale. Ad onta di queste misure, il commercio andò sempre peggiorando, lino alla caduta della repubblica, da tanto tempo preparala, ed avvenuta senza rumorealla fine del secolo precedente. Le nozze simboliche del doge coll’Adriatico eran già da lungo tempo divenute una semplice formalità , nella quale ogni veneziano non f'acevacheram-memorarsi con tristezza l’antico fiore della sua patria. Nel 1797 Napoleone 1 troncò la vita di questo stalo, incapace di resistere, e la pace di Campoformio del 1 798 trasse Venezia sotto il dominio Austriaco. A questo ultimo periodo noi vogliamo dedicare alcune considerazioni.— 11. Allorché Venezia per la pace di Campoformio passò sotto il dominio Austriaco, il nuovo governo si affrettò di accordare vari favoli all’antica città de’dogi. Però questo stalo durò troppo poco per 565 migliorare essenzialmente la condizione dell’ immiserita città : infatti ormai nel i8o5 questa città, nella pace di Presbur-bo, fu ceduta al regno d’Italia, e fino al 1814 dovette sopportare le conseguenze del sistema continentale ordinato da Napoleone I contro l’Inghilterra, ed i danni d’un rigoroso blocco del suo porto. In seguito alla pace generale, Venezia fu incorporata col suo territorio all’impero Austriaco. Il nuovo governo cercò di ravvivare il commercio veneziano e di promuovere il benessere della popolazione. Che i suoi sforzi non siano rimasti privi di successo, se ne poteva persuadere chiunque vide prima Venezia, e la visitò negli ultimi anni precorsi allo scoppiare della rivoluzione. Il conte veneziano A-gostino Sagredo scriveva nel 1843:=aVe-nezia cadde dopo secoli di gloria, dopo di avere raggiunto li culmine della potenza, ed aver posseduto immensi tesori, in tal grado di miseria, da potersi ben dubitare della prossima sua fine; ora essa ritorna a novella vita, e il suo benessere, che ogni giorno s’accresce, è arra per l’Italia che questa sua cara figlia non perirà, ma continuerà ad essere anche per l’avvenire suo gioiello e sua prediletta.=: Il governo Austriaco poteva scorgere con soddisfazione come col progredire del tempo le strade deserte della città della Laguna si rianimassero a poco a poco, palazzi caduti risorgessero dalle loro rovine, le arti fiorissero, si erigessero grandi stabilimenti industriali, ed il porto si riempisse di bastimenti (il sig.r Locatel-li, direttole della Gazzetta ili Venezia, dipingeva colle seguenti parole lo stato di Venezia nel 184-3. = Quando la città, ogni dì più, si rifa e si rabbella, in o-gni angolo s’alzano nuovi edilizi, in Merceria si riaprono le chiuse botteghe , si accrescono i magazzini e le istituzioni di lusso; quando in meno che un anno si schiudono 3 nuovi alberghi, ed uno fra questi grandioso, magnifico, senza pompa di preconi e di annunzi, senz’aiuto di a-65