i.*istituzione dovuta. Il nazionale orgoglio la ritoglie al britanno ed al gallo, e 10 spirito religioso ne spoglia la comunione Protestante, ed accenna peri.“ istitutore s. Giuseppedi Calasanzio, fondatore della benemerentissima congregazione delle Scuole Pie (V.). Che se all’iberico suolo dovette il santo i natali, fu nella capitale del cattolico mondo e nel secolo XVI, e precisamente neh597, ch’egli asperse lai.a scuola infantile. Ivi raccoglieva la povera gioventù, ivi la istruiva, ivi la alimentava , ed al cader del sole la rimandava alle domestiche mura. Così scorresse facile dal mio labbro una robusta eloquenza, nè mi trovassi circo-scritto nel dire a brevi confini, come io potrei provarvi, che l’Italia fu la 1.* a soccorrere ed allevare il figlio del Povero (V.), e che le prime scuole istituite dal Calasanzio eran sorelle per ogni conto alle nostre”. Questo argomento, dice 11 conte Priuli, fu già valorosamente trattato da veronese penna sacerdotale, eoa l’orazione di d. Gio. Battista Zecchini: Nella festa di s. Giuseppe Calasanzio celebrata Vanno 1838 nella chiesa parrocchiale di s. Eufemia in Verona, ivi 183g, tipografia Libanti. Passa quindi l’oratore a rilevare i vantaggi e l’utilità che debbono derivare dalla nuova istituzione; ed insieme a ricordare gli scapiti e i danni, che dalla domestica educazione del popolo sogliono provenire. Divise in 3 classi le madri della numerosa famiglia del povero e del meschino artigiano. Pone nella 1,* le poche, che a disonore dell’ umanità , più somiglianti al bruto che all’ essere ragionevole , abbandonano i loro figli, cessata appena la necessità di nutrirli coll’ alimento del proprio petto. Pone nella 2.“ quelle sventurate, cui la necessità e il bisogno sforzano ad abbandonarli per lunghe ore, a fine di procacciare il giornaliero vitto a se stesse ed a’ loro figli. Comprende nella 3.'' quelle, che attendendo alle domestiche faccende ponno però occuparsi nella 383 1.a educazione di lor prole. Quindi esamina la base di questi nuovi stabilimenti, che quasi chiama di religiosa e morale agricoltura, cioè l’amore di fratellevo-le società comandato da Dio. Discende poscia ad esaminarne lo scopo , l’istruzione , i metodi per conseguirlo; impugnando le declamazioni pel ritorno vespertino dell’infanzia ne’ propri tetti, e come la carità veneziana portò l’amoro-se sue cure oltre l’epoca della permanenza negli asili, estendendo una qualche vigilanza al di là dell’uscita dall’asi- lo infantile; equantogenerosamentc contribuì per la loro stabile esistenza, seguendo l’esempio del conte Giuseppe Bol-dù già podestà di Venezia, che ne aumentò il patrimonio, il quale nel 1837 e neh 838 era quale si produce ne’bilanci consuntivi e nello stato patrimoniale. Nè meno importante e faconda è la parte 2.“, massime per la storia urbana di Venezia sulla pubblica carità e le questue. Per la deplorabile legge de'20 settembre 1767, il maggior consiglio proibì a’seco-laii disporre de’ loro beni a beneficio di qualunque religiosa comunità regolare; ma la carità veneta e specialmente la patrizia , non potendo frenar gli stimoli d’una quasi innata pia beneficenza, prodigò gran parte de’suoi tesori a soccorso della povertà. Tacendo il disserente le generose annue distribuzioni di denaro, di vettovaglie, di combustibili nelle ricorrenze delle feste di Natale e Pasqua, largite da’privati e dalle comunità religiose de’due sessi; tacendo il beneficio di tanti privati ospizi istituiti ad asilo della miseria, ricorda che la sola fraterna grande de’poveri vergognosi di s. Antonino ministrava gratuitamente medicinali a tutti gl’indigenti della città, che pe’gravissi-mi abusi introdotti si presero rigorose provvidenze nel 1790; accenna solamente, che il patrimonio di questa e dell’al-tre 69 fraterne parrocchiali ammontava all’immenso capitale di circa quattordici milioni di lire venete. Ma la generosità