64 marmo, conducente a un foro quadralo del gronde cassone, eli’è lutto annerito, forse come viene da taluno inferito, pe lumi che in copia si saranno accesi naturalmente da’ fedeli in venerazione a s. Marco, il cui corpo stava riposto entro ¡1 cassone medesimo. I capitelli delle colonne che sostengono i volti, sono quasi tutti bizantini e appartenenti ad e-poche diverse. Le due cappelle inferiori, a destra e a sinistra, aveano due altari, non più esistenti, e a questi dirimpetto stavano le porte colle gradinate, che mettevano in comunicazione colla chiesa , presso le altre due gradinale, che al presente conducono alla cappella di s. Clemente 1 e alla sagrestia della basilica, il tetto era dipinto a fresco, e se ne scorge tuttora qualche sebben languida traccia. 11 pavimento,come la maggior parte delle pareli, è tutto coperto di marmo greggio. Presso l’ongolo conducente alla cappella, a man destra eravi un pozzo, che fu da ultimo soppresso.Un sotterraneo cosi magnifico, che conta ormai i o secoli d’ esistenza, e fin da’ primordii si destinò a custodire preziosamente le ossa del s. Protettore di Venezia, destar deve colla riverenza d’ogni veneto, che lo conosco, 1’ onesto desiderio insieme di vederlo totalmente ridonato al primitivo lustro e decoro. Fu voto fervido del Toderiui, che l’ideo religiosa e magnifica del doge Foscarini, si vedesse con lutto l’arte e l’ingegno eseguila; il che è da sperarsi con fondamento, per la decretata dotazione alla basilica dalla munificenza del regnante Francesco Giuseppe, e dalle non mai interrotte premure della zelantissima fabbriceria; e così èdol-ce la lusinga, non esser lontano il ritrovamento dello spediente radicale e sicuro, onde impedire del lutto in questo sagro sotterraneo le ulteriori alluvioni , e con eliminarne I’ umidità, rimuoverne a un tempo 1 insalubrità. La Pala d’Oro e la Sotto-Confessione di questo lempio, co-medie monumenti di uou comune ve- duta e accesso, mi fecero allontanare dalla mia penosa concisione , servendomi dell’opera d’un illustre recente scrittore e fregiato allora dell’ uffizio di sagrista, perciò idoneo e intelligente conoscitore d’ambedue. 5. Ora salendo di nuovo al superior fabbricato, giova col benemerito Zanotto parlar prima della magnifica sagrestia, e anzitutto col eh. Diedo. Nulla di più sontuoso e più finamente ricercato, e nulla di meglio a un tempo inteso, della porta di bronzo fusa dal Sansovino per la sagrestia di s. Marco. Cominciando dall’architettura. Gli ornamenti vi sono profusi, e nondimeno sono sì bene distribuiti, e con sì avveduta leggerezza di rilievo condotti, che non vi producono la menoma confusione , nè fanno apparire il più piccolo ingombro. Vago è il rabesco del fregio, e se può sembrare un po’ capriccioso l’innesto de’volatili ne’ravvol-gimenti de’meandri, è ben compensato dalla venustà della composizione.Le mensole si piegano dolcemente, e con nuovo esempio sono coperte da doppio strato di foglie; singolare e bella è l’applicazione del soffitto dorico al gocciolatoio. La luce e il vano della porta è largo la metà di sua allezza; le modanature sono bellissime, il lussureggiante festone è d’una morbidezza che incanta, come sono mosse con somma grazia le due figure degli Angelini, dietro alle cui spalle si perde tale gruppo di foglie e di frutta. Per la valva di bronzo, chiudente la porta, non vi è lavoro di scultura che abbia maggiormente occupato l’esimio artefice; fu opera di 3o anni, quanto a fattura, e di valore infinito, quanto al prezzo, e degnissimo di lode quanto a scultura. Questo giudizio è di Francesco Sansovino, figlio di Jacopo, nella Venezia descritta. Dice il Cicognara, non ostante che Jacopo Sansovino avesse viste e studiate for-s’anche le Porle di Chiesa, che dal Ghi-berti furono modellate un secolo e mezzo prima di queste, non giunse punto ad