coll’amare la città, la sua natura e tutto quello che è in lei e con lei. B anche l’intellettuale tedesco sa, che Trieste non sarebbe più Trieste senza la sua italianità ribelle, che avvolge nella sua luce ogni angolo della città e ogni ora della sua esistenza, che dà a lei tutte le sue tempeste e tutte le sue ebbrezze, che dona tutte le forme alla trama della vita e tutti i colori alla tela degli amori e delle gioie. E finisce col guardarla con intima simpatia, come lo spettatore ama gli attori che lo commuovono e come il lettore ama i personaggi del suo libro. Non è conquistato ancora, ma intanto non può più sfuggire dalla rete. Ma tanto per il proletariato slavo, quanto per il borghese tedesco l’opera può essere compiuta solo dalla scuola. Perchè essi, dopo tutto, non cesseranno mai di essere uno slavo e uno tedesco; difficilmente pressioni o persuasioni potranno indurli a dimenticare completamente la loro nazionalità. E se anche lo facessero, la loro natura resterebbe sempre straniera e ci sarebbe sempre nelle loro idee e nelle loro azioni qualche cosa che striderebbe, come stride la nota dello strumento male accordato in mezzo all’armonia degli altri suoni. Ma i loro figli possono essere e sono assimilati. Le giovani anime imparano a pensare in italiano, a muoversi italianamente, a sentire, a volere, a sperare, a immaginare là sui banchi della scuola dove italiani sono tutti i maestri e - 81 — tutti gli scolari. E nella città nessuna forza e niuna parola discorda con le ispirazioni della scuola, e i genitori affascinati dall’ambiente non trovano la forza di dire ai figli la parola che tenti fermarli dalla universale corrente, che scateni nei loro cuori la bufera del dubbio sulla propria nazionalità. E se la scatenassero avrebbero ugualmente la peggio. Perchè a Trieste l’italianità è l’ideale ohe trionfa. Perfino la coltura tedesca, che sta tanto in alto e che è la coltura ufficiale dello Stato, arrivandovi pallida e deformata, vi appare pedante, mediocre e inferiore. La civiltà italiana splende come l’unico faro, le glorie italiane sfavillano come le uniche glorie esistenti al mondo, le nostre speranze rilucono di colori ohe mai più si dimenticano. Sembra che a Trieste, chi dovesse appartarsi dalla italianità, dovrebbe rinnegare tutte le idealità, dimenticare tutte le colture, avvelenare col veleno della negazione tutte le glorie e tutte le grandezze umane. Fuori della vita italiana sta lo sconforto di una cella senza uscite e senza palpiti di uomini intorno ; l’orrore di un deserto di ghiaccio sotto un cielo grigio, in mezzo alla oscurità equivoca e opprimente della nebbia. È stato l’entusiasmo della lotta politica che ha colorato nelle fantasie di grandezza e di bellezza ogni manifestazione della vita italiana; che, con la crudezza della intransigenza setta-fi