— 62 — tarano. E nella commistione naturalmente tutti i ragazzi dovevano perdere qualche cosa del loro carattere nazionale, anche i tedeschi. Per ottenere dei posti negli uffici governativi bisogna conoscere il tedesco; per trovare occupazione nel commercio la conoscenza del tedesco è necessaria. Nelle scuole comunali il tedesco è insegnato come materia ; nella vita cittadina il tedesco non si parla affatto e le occasioni per parlarlo mancano assolutamente. Allora i padri di famiglia che non hanno alcuna vivida fede nazionale e nell’avvenire dei loro figli non vedono che la greppia comoda e sicura, la vita placida dell’ufficio governativo, con la prospettiva della pensione a servizio attivo terminato, mandano i loro figli alle scuole tedesche. Difatti i frequentatori italiani delle scuole tedesche sono tutti figli di impiegati e ragazzi destinati a diventare imperiali e regi funzionari del governo austriaco. Le scuole hanno assunto per questo, oltre al loro carattere antinazionale, anche quello di scuole per futuri impiegati. Hanno dunque una natura caratteristica e di una miseria morale ed intellettuale che fa ribrezzo. I ragazzi italiani (fortunatamente pochi) quando vanno a scuola, a sei anni, devono cominciare coll’imparare una lingua straniera senza sapere bene la propria. Una quantità di cose che prima non conoscevano affatto, le imparano a conoscere e a chiamare coi nomi tedeschi e non sanno gli italiani ; viceversa poi l’istruzione tutta tedesca delle ore di scuola viene frustrata dalla conversazione e dalla vita tutta italiana, fatta durante il resto della giornata a casa e fuori di casa. Imparando a scrivere solo in tedesco, imparando solo la grammatica tedesca e mai l’italiana, studiando i primi rudimenti del sapere solo in tedesco si elimina talvolta per sempre la possibilità di imparare bene l'italiano. Parlando tedesco due o tre ore al giorno e tutto il giorno chiacchierando in dialetto triestino non riescono mai ad imparare sul serio il tedesco. Se tutto ciò avvenisse con ragazzi un po’ più adulti non ci sarebbe nessuna conseguenza; ma si tratta di fanciulli di sei anni, che devono ancora cominciare a vedere e a chiamare le cose e formulare i primi pensieri. L’alba della ragione è per loro un caos inestricabile; nè riescono poi mai più a liberarsene. Intanto, l’apprendere qualsiasi cosa riesce loro tanto faticoso e tanto difficile* che finiscono per imparare solo quello, che hanno il categorico dovere di conoscere per non essere bocciati. Così neanche un’idea di quell’affan-nosa caccia di letture, di cognizioni, di idee che affatica i ragazzi più intelligenti ad una certa età e crea loro una mentalità ed una modesta coltura propria, al di fuori della pesante atmosfera della scuola. Sia per le difficoltà della lingua e più ancora per le differenze delle mentalità nella razze,