708 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO prio campo, intenti solo, l’uno a comporre capolavori per l’altro, l’altro a studiare i mezzi più acconci per accontentare in ogni capriccio il primo. In realtà e indipendentemente dai loro reciproci sentimenti di affetto, per dire il vero, assai vivi, essi si ridussero ad una incessante sebbene cortese lotta epistolare in cui, tanto d’Annunzio nel chiedere, quanto Emilio Treves nel rifiutare, profusero, per decenni, tesori di intelligenza, d’arguzia e di dialettica. A volta a volta Emilio Treves lo eccitava, si lamentava, lo sferzava: « Ma perché il tuo epistolario ha sempre da essere inquinato di accattonaggio? » gli scrisse un giorno E un altro giorno: « Tu solo sei l’autore dei tuoi mali. Lavora. Il romanzo potrà essere la tua salvezza ». Quando d’Annunzio mi lesse questa frase di Treves non mancò di aggiungere con un sorriso: « E la sua! » Del resto, quando Emilio Treves cedeva (e finiva col cedere quasi sempre) non lo faceva che per una ragione: che cioè considerava il « prodotto d’Annunzio » come una merce insostituibile. Versava sempre il denaro nello stato d’animo di chi redige un testamento sotto la minaccia di una rivoltella. E più ne versava, più naturalmente si affezionava al Poeta, esattamente come gli uomini si attaccano alla donna che fa spendere loro molto denaro e le madri al figlio « cattivo soggetto ». D’Annunzio poi, abilissimo come sempre, di tanto in tanto sapeva simulare il disinteresse più assoluto. Mentre eravamo nelle Lande, ad Arcachon, ricevendo dal suo vecchio editore l’annuncio di una sua prossima visita, gli scrisse: « Mio caro Emilio, non ti so dire la gioia che mi dà il tuo telegramma inaspettato. Veramente verrai a riabbracciare l'esule? Ti rivedrò qui, nella mia povera casa, seduto alla mia tavola ascetica? (i). (i) Non ho mai mangiato in vita mia tanto bene e tanto abbondantemente come ad Arcachon (Nota dell’Autore).