IL CREPUSCOLO DELL’EROE 8ll ficare opere imperiture, senza mai contare né tener conto dei bisogni cotidiani. Come è possibile non sorridere, quando si sa che nel momento stesso in cui riceve, per esempio, una somma di tre o quattrocento mila lire destinate a pagare le maestranze e gli imprenditori dei lavori edilizi del Vittoriale, egli ne sottrae coscientemente, com’è avvenuto, trentamila, e le invia all’amico cesellatore Brozzi (a cui ne deve più di centomila per lavori precedentemente compiuti) accompagnandole con queste testuali parole: « Ti mando intanto trentamila lire. Sono il frutto di un colpo di mano »? E chi potrebbe accogliere, senza, questa volta, ridere per davvero, la frase che egli mi scrive in ima sua recentissima lettera: « Forse tu non sai che il donatore di città, di litorali, di confini, è oggi in tal miseria che non ha potuto saldare le piti meschine delle note di fin d’anno »? E quella con cui, concludendo poi a guisa d’esempio, aggiunge: « Lord Kitchener che certo non mi valeva neppure come capitano, ebbe larga la vita per la riconoscenza della nazione inghilese »? Ma la vera tragedia attuale di d’Annunzio è la coscienza che egli ha della sua attuale diminuzione fìsica. Contro questa menomazione che egli avverte e della quale constata ogni ora il lento aggravarsi, tutto il suo essere si ribella come contro una fatalità empia, crudele, immeritata. Si è già visto dalla lettera da me citata prima, come alla vecchiaia egli stesso attribuisca ogni sua intolleranza, ogni sua impazienza, ogni suo ingiustificabile scatto; è ormai il « leit motiv» d’ogni sua lettera, d’ogni suo sfogo verbale intimo. A distanza di qualche settimana dalla lettera che ho riportata, mi scriveva, in un’altra, lodando la mia « affettuosa pazienza » (sono parole sue) dimostrata nell’attendere ch’egli mi ricevesse nuovamente: « La tua amicizia è cosi antica e tanto fedele che confido nel tuo perdono. Da più giorni io ti credevo impazientito e partito! Da troppi giorni non apro lettere, non telegrammi e non giornali. Sono in una di quelle cupe malinconie che forse di me tu conosci; ma la vecchiezza le rende ora più crude ».