GLI AMICI DI D’ANNUNZIO 581 gioni a cui d’Annunzio attribuisce il fatto d’aver dedicato il volume a Mario Pelosini. Eccole: <1 Da lontano non ebbi da voi se non sobrie testimonianze d'un amore sempre più forte e d’una fede sempre più tenace. Cosicché, pensando al prato sublime thè sta tra il Camposanto e il Battistero, 0 alla funebre spiaggia tra il Serchio e l’Arno, posso senza discordanza pensare a voi prediletto tra i pochissimi che sanno amarmi come solo voglio essere amato. » Per il lettore ignaro della mentalità e del carattere di d’Annunzio, la deduzione sarebbe semplicissima: Mario Pelosini era dunque, senza alcun dubbio, l’italiano che il Poeta reputava in quel momento il più vicino a lui con lo spirito e con il cuore; l’amico insomma più caro, il prescelto fra tutti. Chiunque avrebbe il diritto di supporre, a rigor di logica, che fra il Poeta e Pelosini abbia avuto inizio, almeno da quel giorno, un attivo scambio di corrispondenza; che, ritornando in Italia, egli lo abbia chiamato a sé, gli abbia dato qualche nuova testimonianza del suo affetto e della sua predilezione. Tutto ciò esigerebbe la logica comune; non però quella dannunziana che è « sui generis » come tutte le cose relative a lui. Ed ecco invece quel che accadde nella realtà. Da quel giorno (eravamo al 1912) egli non nominò più il Pelosini, non gli scrisse più: si sarebbe detto che lo ignorasse. Passarono degli anni. Il Poeta ritornò in Patria. Rivide a Roma quell’amico, lo riabbracciò. Punto e basta. D’Annunzio parti per la guerra; finita la guerra, conquistò Fiume. Chi ha mai udito il Poeta parlare di Mario Pelosini durante tutto questo periodo di quasi otto anni? Nessuno. Finalmente, ai primi del 1929, d’Annunzio si rammentò che esisteva al mondo un amico devoto, sincero.ed intelligente su cui egli poteva contare senza alcuna riserva. Lo chiamò a sé. Pelosini accorse.