770 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO Purtroppo alla spensieratezza dei mesi che vanno dall’aprile all’autunno 1920, dovevano succedere ore grigie, e, a queste, ore di vera tragedia. La prima decade d’ottobre segna il culmine dell’impresa dannunziana. In quei giorni, il Comandante dimostra la sua impossibilità costituzionale a tradurre in atto, malgrado il suo genio e l’immenso prestigio di cui gode, il programma che si è tracciato da mesi. Eppure l’occasione è propizia; i suoi consiglieri lo sentono. Mai è stata più favorevole. Il contagio patriottico ha dilagato. Trieste è già per tre quarti « flumanizzata ». La Marcia di Ronchi era stata un inizio sfolgorante, ma non poteva essere fine a se stessa; non era più possibile rimanere inerti. Una conclusione si imponeva. In quelle prime settimane d’ottobre le decisioni più saggie ed i progetti più strampalati furono sottoposti a d’Annunzio. Vi fu persino chi gli propose seriamente di mettersi alla testa di quella piccola frazione di flotta che era passata al suo comando e di compiere un periplo fino ad Ostia, scortando dei trasporti di legionari! Non nomino l’ideatore di questa infantile soluzione (che naturalmente non teneva alcun conto della presenza nell’Adriatico della flotta « governativa ») per non sollevare a suo danno delle risate postume, come sollevò, bisogna riconoscerlo, quella di d’Annunzio al momento in cui gli venne sottoposto quel progetto. In quell’ottobre d’Annunzio esitò. In novembre il suo stato d’animo non era mutato; ad una mia richiesta di colloquio, il 2 novembre, rispose : « Oggi ho chiesto la tregua per i morti. Avevo bisogno di raccogliermi finalmente per veder chiaro nelle sorti prossime ». V’era in lui la tempra dell’animatore; mancava quella dell’esecutore. Si direbbe che in quei tempi egli pensasse assai più alla sorte di Murat che a quella di Garibaldi.