D’ANNUNZIO e I SUOI SERVI 335 Poeta notò subito che la terza si chiamava « Victoire », e diede un balzo sulla sedia. « Questa si chiama Victoire? Allora prendila immediatamente! » La cuoca giustificò pienamente il presagio eroico di Gabriele d’Annunzio perché rimase in casa sua fino alla vittoria, e fu (durante l’assenza del padrone negli anni di guerra e l’inizio dell’impresa fiumana, dal 1915 al 1919) la guardiana selvaggiamente fedele dello « Châlet Saint-Do-minique ». Esiste una lettera di Victoire a me diretta a Parigi (ove il Comandante m’aveva inviato, qualche giorno dopo l’occupazione di Fiume) delle cui prime righe non mi sento di privare il lettore. Eccole, nel loro simpatico ed involontario umorismo: « Cher monsieur Antongini, « Pendant que notre bon Maître est occupé à conquérir de nouvelles villes pour son Royaume, j’ai reçu les notes du gaz et de l’électricité, se montant à 62 francs 50, que je vous prie de me faire parvenir au plus vite, car etc. ect. » La casa ed il suo padrone erano talmente sacri per Victoire, che essa arrivò al punto da non poter concepire che il signor Philippard, che nel 1919 s’era reso acquirente della villa (acquisto che egli aveva avuto la cortesia di proporre a d’Annunzio prima di effettuarlo in proprio), potesse entrarvi per visitarla. Oltre a quella citata, ho conservato le lunghe e violente lettere che Victoire mi scriveva nella mia qualità di rappresentante del padrone in Francia, nelle quali protestava contro le pretese, secondo lei illegittime, del nuovo proprietario. Il signor Philippard ed alcuni suoi amici (si trattava del resto di un perfetto gentiluomo, grande e sincero ammiratore di d’Annunzio e che fu eletto, qualche mese dopo, Sindaco di Bordeaux) entrarono un giorno nel giardino e si accinsero a visitare la casa. Furono da Victoire trattati nientemeno che di briganti, di disonesti e perfino di... bor-