SPLENDORI E MISERIE DEGLI EDITORI 711 che non abbiano mai fatto ammattire d’Annunzio con errori tipografici e con bozze scorrette, come tutte le altre consorelle. Le bozze erano da queste sempre presentate all’autore in uno stato quasi perfetto. L’unica preoccupazione (questa volta comica) di d’Annunzio era che i correttori della Casa Calmann-Lévy, per eccesso di zelo, gli correggessero di loro iniziativa i suoi versi francesi; poiché, in realtà, qualche volta accadeva che in tipografia, i proti che male si adattavano ad alcune forme e parole francesi inusitate od arcaiche usate da d’Annunzio modificavano arbitrariamente la grafia delle parole, ritenendo in buona fede di « accomodare » il testo del Poeta e di impedirgli di fare brutta figura. I rapporti di d’Annunzio con la celebre Casa editrice italiana (per ritornare ai Treves, ai quali, salvo breve parentesi, egli fu legato per circa quarant’anni) oltre la continua eroicomica scaramuccia finanziaria, non furono, nemmeno moralmente, cosparsi di rose. Per carattere, Emilio Treves, che nella vita cotidiana si distingueva come un appassionato giocatore ed un amabile scettico, era anche sovente, per una buffa e inspiegabile contraddizione, un autentico timido: difetto, come è noto, inesistente in uno spregiudicato del calibro di Gabriele d’Annunzio. E fu questo difetto che determinò i maggiori conflitti fra il Poeta e l’editore. La prima controversia si risolse in una beffa e in un danno finanziario per Treves. Ebbe luogo all’inizio della loro unione. II volume di d’Annunzio, dal titolo « L’Innocente », che scrittori come la Serao, lo Scarfoglio ed altri avevano giudicato, nel 1891, «austero e racchiudente una profonda squisito c sicuro. Di lui egli disse: « Sembra oggi continuare la tradizione di quei patrizii che avvicendavano i rigori della guerra con le eleganze della pace ».