LE DIMORE DEL POETA 205 Non pensava certo che qualche mese dopo vi si sarebbe fissato per anni e che la Francia intera lo avrebbe battezzato: « Le surhomme de la Góte d’Argent ». Nei primi tempi, in quella villa, egli fu ospite temporaneo di una pittrice amica, di una sua buona camerata d’arte, Madame Brooks e, secondo le sue intenzioni, non avrebbe dovuto soggiornarvi che qualche settimana. Sfuggito miracolosamente alle lusinghe di Parigi, al suo arrivo nel silenzio atlantico del Moulleau, egli si trovava presso a poco nella condizione d’un evaso da un bagno penale. Non aspirava che alla solitudine ed alla pace. « Partito da Parigi » egli scriveva a Emilio Treves a Milano « dopo quattro mesi di vita infernale, sono arrivato nel mio rifugio con una depressione di forze cosi grave che, in una certa ora, ho veramente pensato alla fine, alla triste fine. « Aia conosci la terribile potenza della mia natura. Alcune settimane di riposo e di solitudine, di meditazione pacata e di sogno lento, mi hanno condotto alla convalescenza. E mi è parso di lasciare dietro a me una malattia mortale! » E, a me, a Parigi, negli stessi giorni, pure scriveva: « Qui il luogo è mirabile. La mia avidità di sole comincia a placarsi. Arrivederci ». La casa gli piacque perché spaziosa, isolata da ogni altra villa, col mare davanti e la fitta pineta intorno, da tre parti. « La maison du Poète est auprès de la mer. La ville en est lointaine et la forêt voisine » scriveva di lui il delicato poeta Henri de Régnier, e aggiungeva: « Fils illustre deux fois d’une double patrie et dont la fière main planta si fièrement en notre sol de France un laurier d’Italie. » Ma la compagnia, pur gradevolissima, della camerata artista e la inevitabile distrazione mentale creata da quei mille imponderabili dovuti alla convivenza e alla obbligatoria deferenza alle abitudini dell’ospite (tutte belle cose