GLI AMOROSI INCENDI DEL POETA 437 ma dilaniato ogni giorno, nonostante la discutibile soddisfazione che ella aveva spesso, di veder vincere i suoi levrieri da corsa alle gare di Saint-Cloud sotto gli stessi colori di quelli di d’Annunzio. Egli scrisse più tardi, all’inizio della guerra, su quel periodo e sull’amica d’allora: ... « A un tratto scorgevo l'alta ombra della mia compagna che camminava lungo il granaio chiaro col suo passo spedito di Diana cacciatrice calzata di coturni bene unti; e un sentimento di bellezza eroica superava l’ironia della mia attesa. La giovane donna, disdegnando ogni consiglio di prudenza, era pronta a perire coi suoi cani ammirabili difendendo le mura del suo rifugio. I denti le brillavano più che il bianco degli occhi, rischiarando quel suo viso di bel fanciullo caparbio. Ella imaginava di scagliare col suo grido gutturale la muta formidabile contro i primi invasori apparsi, e di capitanare la strana battaglia nel rossore dell’incendio ». Finalmente, dopo cinque o sei mesi di tortura di Donatella e spassi di d’Annunzio (nel frattempo i feticisti del Poeta in Italia piangevano sul doloroso e triste esilio del loro idolo!) il sipario calò anche su quell’amore. D’Annunzio era fuggito improvvisamente da Parigi, questa volta diretto ad Arcachon. E, nemmeno a farlo apposta... con un’altra amica. Era una nuova riprova dell’assioma dannunziano: che il Poeta non mutava mai domicilio se non per una delle tre ragioni da me già elencate: il cannone, l’usciere, la donna. Fu a me che toccò la delicata e incresciosa missione di calmare la povera abbandonata lasciandole credere che il Poeta avesse ripreso la via della patria per ragioni di affari. Ma la cosa non fu facile poiché Donatella amava veramente; e il suo strazio amoroso aumentato dall’offesa dell’improvvisa partenza, che il suo intuito femminile attribuiva ad una nuova avventura e non alle vaghe ragioni che avevo avuto incarico di addurle, era sincero ed acutissimo.