D’ANNUNZIO E I SUOI SERVI 333 stantemente delle apparizioni; raccontava per esempio, in piena buona fede, d’incontrare spesso sulla scala di servizio dei fantasmi più o meno familiari e trovava la cosa naturalissima come se vi fosse incontrata col postino o la lattivendola. Quando poi scendeva nel piccolo giardino all’ora del crepuscolo, affermava d’aver quasi ogni giorno l’occasione di intrattenersi con San Sebastiano in persona, che ella sospettava, non senza arguzia, di venire a Villa Charitas per dare un colpo d’occhio alla tragedia di cui stava per divenire il protagonista. Nella mia qualità di Segretario Perpetuo del Poeta, ogni sera dopo pranzo dovevo scendere in cucina a fare i conti di casa. « Come va, Noemi? » le chiedevo entrando. « Come sempre », mi rispondeva lei col suo abituale tono brusco. «Il padrone è solo? » « Si vede che lei, signore, ha voglia di scherzare », mi rispondeva Noemi in tono quasi aggressivo: « ce ne sono almeno sette che attendono di parlargli. » « E San Sebastiano ? » aggiungevo io coll’espressione di voce più naturale, come se il fatto dei sette fantasmi in attesa mi sembrasse normalissimo. « Oggi non si è visto», mi rispondeva seccamente Noemi, e tornava ad occuparsi delle sue casseruole. « Che porcaccioni sono gli italiani, salvo il rispetto che le devo », mi disse il giorno in cui seppe, non so da chi, che in Italia stavano vendendo all’asta la casa del suo venerato padrone. « Dire che, per lui, io venderei anche la mia bicicletta! » Avevo dimenticato di raccontare che questa singolare sessagenaria, ogni mattina, come una « girl » americana, pedalava coscienziosamente dal Moulleau fino al mercato di Arcachon per fare i suoi acquisti, e aveva per la sua bicicletta lo stesso amore di Caligola per il suo cavallo. Qjualche mese più tardi, d’Annunzio, che non si trovava