l’esilio 289 della sua conversazione. Fu mia convinzione, invece, che la maggior parte delle dame lo riconobbero subito malgrado la maschera, dal suo specialissimo accento, e che perciò lo trattarono come si conveniva a donne lusingate d’aver accanto a loro l’idolo del giorno; ma naturalmente serbai per me questa convinzione. Verso le due di notte, il Poeta scopri una magnifica maschera che, tranne la punta del naso e gli occhi, mostrava tutto il mostrabile (il suo costume « soi-disant » da baccante, consisteva in tutto e per tutto in una piccola pelle di leopardo e in un paio di milioni di perle) e, attaccatosi alla bella sconosciuta, non se ne staccò più. Cosa sia poi avvenuto tra lui e il leopardo non saprei dire, poiché non solo non ebbi più la ventura di vederlo, ma non tornò all’albergo che verso le nove del giorno successivo e si rifiutò a qualsiasi relazione sugli avvenimenti che si erano svolti tra lui e la bella mascherina; avvenimenti che certo non avevan dovuto mancare d’imprevisto, giacché il costume, il tricorno ed il mantello erano letteralmente coperti di ragnatele enormi, secolari, numerosissime. Ma benché gli facessi notare la stranezza del fatto, egli non si sbottonò, e si accontentò di sorridere. Al secondo ballo, d’Annunzio ed io andammo accompagnati da due camerate, due giovani russe. Partimmo dalla casa di d’Annunzio, che allora abitava in rue de Bassano, tutti e quattro vestiti di costumi inspirati da disegni dello stesso pittore Brunelleschi, verso le undici di sera. Poiché il pittore abitava a Montparnasse, contavamo giungervi per le undici e mezzo. Vi arrivammo invece verso le due e mezzo della notte. Cos’era accaduto? Lungo la strada eravamo scesi per un momento a bere dei «cocktails» all ’allora frequentatissimo bar dell’Elisée Pa-lace, all’angolo dei Champs Elysées e della rue de Bassano. >9-