5°6 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO considerata inutile e dannosa. Cosi anche per le lettere. Una volta ad Arcachon, non lo dimenticherò mai, gli consegnai tre lettere arrivate in quel momento. Stava alzandosi da tavola. Delle tre lettere che gli porsi, due avevano la busta bianca; il loro aspetto « fisico » era insignificantissimo: la terza aveva una busta azzurrina di formato « fantasia ». L’indirizzo era innegabilmente vergato da una mano femminile; la scrittura era slanciata ed elegante: l’inchiostro azzurro cupo; un piccolo sigillo in ceralacca blu, coll’impronta di uno stemma, ne garantiva discretamente il segreto. Ero sicuro, matematicamente sicuro che d’Annunzio avrebbe per prima aperta quest’ultima e probabilmente lasciate intatte le altre due, e già sorridevo internamente nell’attesa del gesto che doveva confermare la mia previsione. Con mio grande stupore, d’Annunzio aperse l’una dopo l’altra e col massimo interesse le due lettere bianche; quanto a quella azzurra, si accontentò di darle un’occhiata sospettosa, e la lasciò sul tavolo con un gesto che significava, per me che lo conoscevo: «Non l’aprirò mai ». Poiché in quell’epoca aprivo sovente pel primo la sua corrispondenza, me la rimisi in tasca e qualche minuto dopo ne stracciai l’azzurra busta. Che cosa conteneva? Il conto d’una modista di Parigi! E si noti che si trattava del primo invio della fattura e non d’una sollecitazione al pagamento; era escluso quindi che d’Annunzio fosse sull’avviso o conoscesse la scrittura. Ma il subcosciente che l’assiste sempre, l’aveva avvertito che si trattava di cosa pericolosa. Della corrispondenza dannunziana, una parte è costituita dalle missive dei pseudo-colleghi; cioè di coloro che sono convintissimi d’essere poeti di prim’ordine o pregevolissimi scrittori e che attribuiscono la loro impossibilità di trovare