l’inseparabile compagna 95 rialzarsi mai più, Gabriele d’Annunzio, ultimogenito della Musa. Intorno intorno, sotto l’azzurro infinito, si stendevano le colline toscane, passando dal verde intenso alle sfumature cerulee ecc. ecc. (Faccio grazia al lettore dei voli lirici di Ugo Fleres, giustificati da una commozione cosi intensa che gli fa persino situare le colline toscane sulla strada di Francavilla a Mare. « ...Morire a diciassett’anni (qui la commozione è tale da condurre il Fleres ad aggiungere un anno di vita al Poeta, che, allora, ne aveva solo sedici). Morire a diciassett’anni, quando né sfiducia né scetticismo ecc. ecc. ... » E cosi, per un’altra mezza colonna, senza dimenticare, ben inteso, né la « mammola schiacciata », né Tarquinio il Superbo che colla sua bacchetta abbatte i papaveri più alti. « Toute la lyre »! Ma se alla Leggenda era stato abbastanza facile far credere al pubblico che d’Annunzio fosse nato sul « brigantino Irene » e si chiamasse Rapagnetta, non le fu possibile sostenere a lungo che fosse morto, tanto più che il sedicenne poeta non viveva (almeno in quell’epoca) chiuso in un palazzo come un Maharaja qualunque o come il buon negus Menelik, di onesta memoria, ma passeggiava, mangiava, beveva, scriveva, frequentava amici e nemici e, sopratutto, corteggiava un numero rilevante di signore, fra le quali molte sarebbero state pronte in quel momento ad attestare non solo la sua esistenza fisica, ma anche quella... immorale. Fu Punica volta che, con d’Annunzio, la Leggenda ebbe la peggio. Il Poeta se la cavò con la proibizione dei parenti di montare a cavallo (forse perché considerarono l’avvenuta pubblicazione della sua morte equestre come un oscuro avvertimento del destino). Come al solito egli se ne infischiò e, da semplice cavalcatore dilettante, divenne, in breve tempo, un cavaliere arditissimo.