764 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO specchio, i propri convincimenti, e le proprie speranze. Fu detto, specialmente allora in Italia e all’estero, che d’Annunzio sognava di diventare definitivamente il capo politico di Fiume e del suo territorio, di creare cioè una specie di principato, di signoria, di corte, come quelle che pullularono in Italia all’epoca del Rinascimento. Nulla di più falso. Il potere non solo nonio inebriò, ma lo lasciò indifferentissimo. Egli si considerò tutt’al più, fra i suoi legionari, come il « primus inter pares », e non volle mai esser chiamato che: Il Comandante. I suoi errori sono scusati nell’attimo stesso in cui egli li compie, poiché tutti sentono che nessun interesse personale si nasconde dietro i suoi gesti, nessuna animosità, nessuna partigianeria, nessuna preferenza. Ciò non impedisce che, intorno a lui, al coperto della sua grande ombra, si formino al Palazzo delle « camarille », ma sono « camarille » blande, bonarie; gli esilii temporanei sono esilii all’acqua di rose; nessuno può dirsi veramente mai in disgrazia; gli allontanati sanno già che ritorneranno; ne sono tanto convinti che considerano la loro disavventura come una specie di periodo di vacanza. D’Annunzio continua a vederli malgrado 1’« allontanamento »; non sdegna il pettegolezzo, con loro, sui loro successori. Tutti insomma escono sempre dalla «reggia » sorridenti e soddisfatti. Né questo è il frutto, in d’Annunzio, di un ragionamento machiavellico; egli non fa con ciò che seguire la sua invariabile indole. Ama tradendo e tradisce amando. Su tutti i suoi atti, poi, impera sempre il dubbio. « Forse che si forse che no! » (1). A tal punto egli stesso è conscio di questa sua inguaribile (1) Potrebbe come il Petrarca affermare: « Né si né no nel cor mi sona intero * o come Dante: « E non men che saver, dubbiar m’aggrada ». I suoi due grandi predecessori ebbero lo stesso difetto!