GLI AMICI DI D’ANNUNZIO 567 Finalmente sa che difficilmente chi è chiamato amico da lui, può rifiutargli un piacere, per piccolo che sia. Aggiungerò, senza ombra di malizia, che se poi il piacere da chiedere è importante, in tal caso d’Annunzio, quasi sempre, usa dare addirittura del tu al destinatario; ben sapendo che questo ultimo, ubbriacato da tanta impensata e insperata prova di intimità, sarà pronto e disposto a qualsiasi sacrificio. Le ragioni che hanno impedito sempre a d’Annunzio di divenire il vero e completo amico di altri uomini, sono molteplici. L’amicizia, pur essendo per tradizione il più nobile fra i sentimenti umani, rappresenta sovente un fastidio od una difficoltà per chi la vuole praticare « toto corde ». Obbliga spesso a rinunzie, a piccoli sacrifici, ad accondiscendenze; sempre poi, ed in ogni caso, a inevitabili perdite di tempo. Ora il ritmo della vita di d’Annunzio è quello di una meteora. Il suo destino è confuso, legato, incatenato ad avvenimenti che non sono gli avvenimenti normali in mezzo ai quali si svolge la vita dei semplici mortali. D’Annunzio non ha il diritto di perdere il suo tempo; è un lusso che non può concedersi. Talvolta si tratta di un’opera d’arte che il suo dèmone lo chiama a creare; talvolta (l’abbiamo visto) si tratta persino di una guerra sospesa alle parole che usciranno dalle sue labbra. È mai possibile immaginare un d’Annunzio (nell’istante in cui, spinto da un impulso più forte della sua volontà, sta per prendere la penna e creare) preoccupato invece della risposta alla lettera di un amico che gli sottopone, per esempio, un caso di coscienza? Scrive il Proust molto causticamente (e si direbbe pensi a d’Annunzio scrivendolo): « Pour quelques raisons morales qu’il le fasse, Partiste qui renonce à une heure de travail pour une heure de cau-