LA CORRISPONDENZA DEL POETA 515 va volgendo alla fine verso le cinque e mezza, quando io, approfittando di un momento di sosta, in cui la narratrice sottolineava un’ultima disgrazia fra le mille che le erano capitate, alzando pateticamente gli occhi al cielo, la interruppi mostrandole la fotografia del caminetto, con queste parole che volevano essere un complimento: « Sua sorella ? » « No » mi rispose, abbassando lo sguardo: « Mia figlia! » «Ballerina? » feci io. « No, per sua fortuna ! » Intravvidi, come in un lampo, la possibilità (per via indiretta s’intende) della sospirata scrittura della madre. E le chiesi premurosamente: « È a Parigi? » « No, è in Brasile.» Tacqui. Dopo un’altra buona mezz’ora riuscii finalmente a infilare la porta, a rivedere la strada e a respirare a pieni polmoni. E fu durante il ritorno all’albergo, che mi attraversò la mente l’idea di uno scherzo infernale. Ritrovandomi con d’Annunzio a pranzo, non feci parola alcuna della mia visita in rue de Rennes. Capivo benissimo che d’Annunzio bruciava dalla voglia di chiedermene notizie, e ferocemente lo attendevo al varco. Finalmente, alle frutta, non potè più trattenersi, e coll’aria e l’intonazione più distanti e « nonchalantes » del mondo, come se parlasse del bel tempo e della pioggia, mi chiese: « Sei poi stato a far visita a quella ballerina? » « Quale ballerina? » feci io, come se cadessi dalle nuvole. « Oh Dio » scattò lui, « la ballerina che mi ha scritto stamane. Dove hai la testa? » « Ah già » risposi io. « Neppure me ne ricordavo. Si, ci sono andato... Oh! Dio... insignificantissima, sai, una don-nicciuola qualunque... Veramente non credo sia il caso che tu te ne occupi... È meglio lasciarla perdere... »