244 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO be » bonarii, lanciare piccole bombe antidiluviane sulla Capitale; dalla Torre Eiffel giungeva, portato dal vento, il crepitio delle mitragliatrici. L’intero esercito tedesco che straripava verso Parigi era giunto ormai a qualche ora di marcia dalla città. D’Annunzio, che non ha mai tremato per se stesso, tremò per i suoi cani. Li adorava. Per lui erano « fanciulli capricciosi e tremende macchine di vittoria, belve crudeli e damigelle timide, sognatori taciturni e dilaniatori inesorabili ». « Li amavo » egli scrive, « come si ama una donna malfida e tenera, mista di svogliatezza e di ardore, di frenesia e di mestizia. » Per giorni interi corsi da ogni parte nella speranza di trovare dei carri per trasportarli a Parigi e un rifugio qualunque per poterli mettere al coperto. Impossibile. I parigini, non senza ragione, si accontentavano di sorridere di questa piccola tragedia del Poeta. Ne avevano ben altre e più gravi sospese sulla testa. Del resto era scritto nel libro del Destino che i tedeschi non sarebbero mai entrati a Parigi e nemmeno a Villa-coublay, che pur si trovava sulla loro strada. I cani subirono anch’essi senza protestare le fatali restrizioni della guerra. Di « carne rossa », non se ne parlò più. Qualche biscotto, un po’ di latte, e basta. Certo che fu per loro il tempo meno giocondo. « Non avevano più i loro giochi mattutini, le loro fantasie e follie su pel terreno soffice, tra le mura dorate dal sole e inazzurrate d'ombra. Erano sempre condotti a guinzaglio... » Nondimeno vissero lo stesso e si moltiplicarono. Ma un’altra grave jattura li attendeva: « Il recinto solitario di “Dame Rose", » cosi racconta d’An-nunzio, <(fu requisito, riempito di bestiame da macello, convertito in una tetra cloaca nerastra su cui si prolungavano i mugghi degli animali malati d’afta. » In realtà, anche non volendo vedere le cose cosi in tragico, è pur vero che un centinaio di mucche sfiancate che appartenevano al Servizio dell’intendenza del Campo