INTERMEZZO DIPLOMATICO 735 Ci mettemmo alacremente al lavoro, insieme a Gino Antoni, antico membro del Consiglio Nazionale di Fiume, che Giuriati, per desiderio del Comandante, aveva condotto con sé. Chi ci fu largo di prove d’amicizia e di ospitalità, e integrò in certo qual modo il nostro lavoro per alcuni necessari contatti con gli uomini politici francesi, fu l’amico Filippo d’Estailleur-Chantereine. Che egli, come francese, militasse allora e militi oggi in un partito piuttosto che in un altro non mi riguarda né voglio trarne delle illazioni; quel che posso e devo dire è che, in quell’epoca, egli mise a disposizione dell’idea dannunziana tutto il suo cuore e tutto il suo cervello, come ha sempre fatto al servizio di un riavvicinamento franco-italiano. Dopo pochi giorni di permanenza, Giuriati redigeva e portava a Nitti la protesta ufficiale di Fiume, contenente le sacre rivendicazioni di quella città italianissima. È assai probabile che S. E. Nitti, ricevendo quel documento, abbia sorriso d’indulgente commiserazione. Era nel suo stile. L’avevano tanto « scocciato », con quella Fiume ! « La politica è la politica», avrà certo pensato nella migliore delle ipotesi, « e la poesia è un’altra cosa ». E poi, a che cosa credevano di giungere gli illusi di Fiume? Credevano forse di poter annettere, contro il suo volere e quello degli Alleati (che in questo erano perfettamente d’accordo con Nitti), la città di Fiume all’Italia? Quanti fastidi, quanti grattacapi inutili per causa di quel pazzo di d’Annunzio! E chi era, poi, quell’ignorato avvocato di Venezia, quel signor Giuriati che coll’aria pili tranquilla del mondo si arrogava il diritto di trattare alla pari col Primo Ministro d’Italia? Certo, se Francesco Saverio Nitti avesse potuto supporre che, qualche anno dopo, Fiume sarebbe stata definitivamente italiana, d’Annunzio sarebbe diventato Principe di Montenevoso, e l’oscuro avvocato di Venezia, Presidente