D’ANNUNZIO E GLI ANIMALI 229 pezzolo; e la lingua era concava come un petalo carnicino; e la gola palpitava come se tuttora la irrigasse il latte. « Mai il primo fiore della vita animale m’era parso più miracoloso. » Per gli animali come per i domestici (questi ultimi mi perdoneranno un paragone che si riferisce soltanto alla bontà di d’Annunzio) egli è, ed è sempre stato, un ottimo padrone; poiché se talvolta pretende sacrifici con severità, sa anche ricompensarli con altrettanta generosità, e nessuno al mondo, presto o tardi, ha dovuto pentirsi di avergli reso dei servigi. Non potrei dire esattamente fino a che punto d’Annun-zio possa interessarsi della vita e dei costumi degli animali inferiori. È vero che nella sua biblioteca le opere complete di Favre sono allineate accanto a quelle di Michelet, e che durante la vita gli accadde una volta di affezionarsi in modo singolare a un pesciolino rosso; è vero anche che durante la guerra ebbe per compagno fedele e silenzioso, nei periodi di licenza, un curioso uccello trampoliere; è vero che s’interessò talmente della sorte di un’aquila da mantenerla a sue spese per molti anni in un giardino zooio gico; è vero che a Venezia amava spesso trastullarsi con un ramarro (1), tanto che il pittore Sibellato lo raffigurò in questo curioso atteggiamento; è vero che non sdegnò durante i primi mesi di soggiorno sul Garda la devozione cieca di una magnifica e voracissima tartaruga. Ma questi episodi isolati, sui quali il lettore troverà più innanzi dei particolari non privi d’interesse, rimangono pur sempre delle eccezioni, giacché è innegabile e notorio che le preferenze del Poeta si sono sempre manifestate per gli animali superiori, specialmente pei cani e pei cavalli. (1) « Il mistero d’m dio verde il cui baleno era una lucertola guizzante ». Contemplazione della Morte », pag. XI.