VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO « Per alcuni attimi il desolato volto materno si pone tra me e il volto clella Patria che ho creduto di scoprire, come in un lampeggiamento penoso. » La madre del fanciullo prodigioso aveva seguito il figlio lontano col pensiero costante, l’aveva prediletto e adorato sempre, vivendo nella sua solitudine solo di lui e per lui, imponendosi di non turbare mai il suo lavoro o la sua tranquillità col racconto delle tante traversie della vita che pure l’avevano ingiustamente colpita, addolorata, talvolta affranta. Passava lunghe ore accanto alla finestra, con lo sguardo perduto nella lontananza, verso il figlio esule. Poi riapriva le lettere di lui, le rileggeva, si consolava delle sue buone parole... Ed egli, più che saperlo, lo intuiva, e se nella sua vita provò talvolta un senso di rimorso, questo movimento del suo animo, per lui cosi eccezionale, fu sempre (lo constatai) dedicato alla madre. Quante volte avrebbe voluto correre a lei, e chiedere a lei quella consolazione o quel conforto che egli ha sempre superbamente respinto e sdegnato quando gli veniva offerto da altri, ma che avrebbe accettato con gioia da quella che sempre chiamò con tenerezza: «la sua mammina »! Ma i giorni si susseguivano coi loro fatali obblighi, coi loro diabolici impedimenti, ed egli doveva sempre rinunciare alla gioia di rivederla. « La vita perfida e cruda mi disgiungeva da lei, mi travolgeva, mi rendeva perfino immemore. Ma ora la sua presenza è continua, è consolante, è fortificante. La morte non è se non una vita piti pura (i) ». Benché la sorte e le circostanze della vita li dividessero egli rammentò sempre tutto quanto la riguardava; ne citò sempre, nel parlarne a me, i gesti e le parole, ne ricordò sempre la « voce indimenticabile », le mani... Ad esse, che l’han- (i) Queste parole furono scritte da lui qualche anno dopo la morte della madre.