d’annunzio e la politica 557 Alcuni capi fascisti, suoi antichi camerati di guerra, fra i quali l’antico e valoroso suo compagno d’armi Attilio Te-ruzzi, s’erano improvvisamente presentati a lui, di notte, all’albergo Cavour ove egli alloggiava; ed egli li aveva subito ricevuti. L’apparire di quel manipolo di combattenti in camicia nera, madidi di sudore per una lunga marcia compiuta alla testa dei loro camerati, cogli occhi sfavillanti, accesi da una fede che traspariva da ogni loro gesto e da ogni loro parola, era stato per d’Annunzio una vera e propria sferzata. In quel preciso istante io ch’ero presente avevo letto nei suoi occhi che l’artista scompariva di nuovo e che il capo dei legionari, l’uomo dalle disperate avventure, rinasceva miracolosamente. Pochi giorni dopo, il 13 agosto 1922, Gabriele d’Annun-zio, che nel frattempo era ritornato a Cargnacco, precipitava da una finestra della sua villa e si spaccava il cranio. Questo pericoloso accidente che (certo per una figurazione poetica destinata a rimaner tale) egli doveva, tredici anni dopo, attribuire, nel « Libro Segreto », ad intenzioni suicide, e ciò ad uso di coloro che ignorano la verità vera, poco mancò non gli costasse la vita (1). D’Annunzio lo ha chiamato in seguito: «la mia misteriosa caduta ». Ma, nei primissimi giorni della convalescenza, presenti almeno una ventina di persone, aveva pronunziato a questo proposito una firase curiosa: « L’Italia mi ha spinto dalla Rupe Tarpea ». Qjuale Italia? è il caso di chiedersi. (1) « Quando accorsi », racconta Coclea nel « Libro Segreto », « il suicida era disteso nella ghiaia ».