686 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO Che d’Annunzio abbia fatto la guerra e che l’abbia fatta sul serio, è sperabile che nessuno abbia osato porlo in dubbio da quando avvenne il suo primo vero contatto col nemico, vale a dire dal giorno del suo volo su Trieste del 7 agosto 1915, fino al Natale di sangue a Fiume, nel dicembre 1920. Il suo contegno durante cinque anni sorprese tutti: sorprese i suoi detrattori, che lo giudicavano un arrivista; sorprese gli uomini di Stato italiani, che lo consideravano un bardo nazionale, « un letterato dello stampo antico » come scrisse lui « in papalina e pantofole », buono tutt’al più a spronare i vivi ed a celebrare i morti ; sorprese gli amici, che lo sapevano intollerante d’ogni disagio fisico; sorprese i confratelli, che non gli perdonarono mai quella nuova impensata incarnazione; sorprese finalmente i milioni di buoni borghesi che si rifiutavano a comprendere come un individuo già cosi celebre potesse divertirsi ad arrischiare la pelle ogni giorno. Nessun poeta al mondo (parlo dei poeti della classe intellettuale di Gabriele d’Annunzio) aveva prima di lui spinto a tanto l’eroismo, l’amor patrio e l’abnegazione. Non abbiamo che da riferirci agli esempi più noti dei suoi grandi predecessori. Di Sofocle ci fu raccontato che partecipò alla battaglia di Platea, ma più particolarmente che ballò nudo il « pea-na » dopo la vittoria, il che ha certo un valore più estetico che militare; di Cervantes sappiamo che fu ferito alla battaglia di Lepanto su una galera del Papa; di Dante che fu alla giornata di Campaldino; di Chénier che combattè a Valmy; di Camoens che perse un occhio (anche lui come d’Annunzio) guerreggiando in Africa; di Foscolo che ebbe una baionettata alla coscia all’assedio di Cento. Ma, in sostanza, eccettuato Byron che mori per la Grecia a Missolungi, e non sul campo, tutti gli altri, il nostro Poeta se li lasciò indietro di migliaia di chilometri.