LA CORRISPONDENZA DEL POETA 511 essere interpretato soltanto in un senso relativo; giacché è evidente che se esse non hanno mai raggiunto la cifra tradizionale e imponente alla quale dànno diritto le professioni di tenore o di pugile, hanno certamente oltrepassato, ogni anno, il numero che un onesto viaggiatore di commercio si vanta di aver ricevuto in tutta la sua vita quando parla con un compiacente compagno di viaggio. In ogni caso le lettere di questa natura sono state inviate a d’Annunzio, almeno per il novanta per cento, da donne squilibrate, forse non tanto da dover essere rinchiuse in una casa di salute, ma certamente anormali. Una di esse afflisse letteralmente il Poeta durante tutta la durata del suo regale soggiorno a Fiume; afflizione d’altronde molto sopportabile, visto che d’Annunzio si limitava a gettare un’occhiata distratta a quelle numerose lettere d’una sconosciuta; sorrideva e le gettava nel cestino, dal quale io qualche volta le sottraevo a scopo di studio psicologico. La sconosciuta (circostanza che un illustre scienziato mi affermò poi non essere rara) non scriveva mai a d’Annunzio, come a prima vista potrebbe sembrar logico, allo scopo di ottenere ch’egli corrispondesse al suo amore, bensì per riconquistarlo, giacché nelle sue lettere affermava continua-mente ed ostinatamente d’essere stata già amata da lui in epoche lontane, e non mancava mai di rammentare le fasi di questo antico loro amore (in realtà assolutamente ipotetico) con descrizioni e riferimenti ad episodi passionali ed erotici che erano dovuti naturalmente soltanto alla sua fantasia. Le lettere, dopo qualche tempo, si fecero molto più rare. L’ultima (e non potrei neppure affermare se d’Annunzio l’abbia letta perché spesso me le consegnava senza aprirle) parlava di suicidio, cosa alla quale diedi poca importanza, visto che nelle tre o quattro che la avevano preceduta, la stessa minaccia era già proferita e ripetuta. Una settimana dopo, i legionari di Fiume ripescavano