D’ANNUNZIO GIUDICA SE STESSO E GLI ALTRI I35 i migliori tra i grandi ingegni e tra gli accademici francesi, « bon gré mal gré », furono e sono tutti per lui. Colui che per primo aveva segnalato d’Annunzio all’attenzione della Francia intellettuale (il Chiarini insomma di Francia) era stato il visconte ed accademico Melchior de Vogüé. « Imaginez » egli aveva scritto nella « Revue des Deux Mondes » nel gennaio 1895 «du Baudelaire plus chaud, aussi grave, moins mystique; une impudeur effrénée, jamais vulgaire, et qui se fait pardonner par un accent d’antiquité si naturel, si peu suspect de pastiche, que ses pages semblent purifiées par un recul de vingt siècles, arrachées de quelque anthologie ou elles reposaient entre les élégies de Tibulle et le “Tristes” d’Ovide ». A differenza del Chiarini, Melchior de Vogüé, non solo non ritrattò mai queste sue dichiarazioni, ma mostrò più volte come la sua ammirazione per d’Annunzio andasse ingigantendosi coll’ingigantire dell’opera del Poeta. Altri, in seguito, si aggiunsero al Vogüé nell’esaltare il grande fratello latino; altri ne scrissero discutendolo, ma non lesinandogli quel riconoscimento che ormai nessuno s’azzardava più a negargli. Ma soltanto dal 1910 l’interesse che d’Annunzio determina negli ambienti intellettuali e, di pari passo, l’ammirazione che egli suscita, assumono forme più intense, veramente plebiscitarie. Da France a Loti, da Barrés a Prévost, da Rostand a Lavedan, da Barthou a Bataille, da Hervieu a Portoriche, da Madame de Noailles ai due Margueritte, tutti gareggiano nel lodarlo a parole e in iscritto, tutti lo ammirano, ne ricercano la compagnia e si stimano lusingati da ogni suo gesto amicale. Anche i più restii, quando il caso vuole che ne parlino, concludono: «C’est un grand bonhomme tout de même! », frase che in bocca francese equivale a dire: sarà astruso,