D'ANNUNZIO E LA POLITICA 543 A Fiume dunque la politica interna non esistette. Ma esistette quella estera, costituita da quei rapporti che il Comandante doveva pur mantenere o tentar di mantenere con i gruppi simpatizzanti e con le Nazioni che avevano invece disapprovato il suo gesto e gli tendevano imboscate, fra le quali primeggiava (è doloroso il constatarlo) l’Italia governativa, incomprensiva nel primo tempo, ostile nel secondo, nemica dichiarata nell’ultimo periodo. La situazione di Fiume, non si può negarlo, era intricatissima, subordinata agli eventi giornalieri, irta di pericoli, precaria sempre. Avrebbe certo presentato difficoltà anche per il più abile uomo di Stato, per il più acuto destreggiatore politico. Ma forse una politica coerente, lineare, che desse agli avversari la convinzione che un programma, sia pur minimo, esisteva, e che il Comandante aveva non solo la ferma decisione ma la possibilità di tradurlo in atto, avrebbe potuto migliorare politicamente la situazione fiumana. Sfortunatamente egli non ebbe tempo. Lottò contro difficoltà senza numero ed è già miracoloso il semplice fatto che abbia saputo elevarsi a concezioni universali e fermarle in linee armoniose mentre la sua vita era una febbre senza requie di lavoro e di azione alternati. Come ben scrisse il Kochnitfcky (che era allora a capo del-l’Ufficio Esteri del Comando di Fiume) le circostanze temporali e spaziali gli furono avverse. « Ma un’altra dimensione entra nelle azioni degli uomini: la volontà, la volontà fiammeggiante e tenace che è la stessa sostanza del pensiero di Napoleone, di Goethe, di Cavour, di Bismarck. « Troppe volte d’Annunzio apparve titubante, malcerto; troppe volte scese agli accomodamenti, cedé agli scrupoli, tornò sui suo passi. * Certamente le sue concezioni fiumane, per la bellezza e la nobiltà del sentimento che le penetra, esistono “sub specie aeternitatis”.