620 VITA SEGRETA DI GABRIELE D'ANNUNZIO ritenga diminuito il suo valore artistico, come non lo considera per nulla aumentato dal successo teatrale più strepitoso ed impensato. Si può dire che, al contrario della stragrande maggioranza dei commediografi, egli non abbia mai scritto per il teatro. Il teatro è per lui puramente una forma di espressione artistica; mai un fine. Quello che conta per l’Annunzio, anche quando si tratta delle sue opere teatrali, è sempre e unicamente il volume che verrà in seguito pubblicato e che farà conoscere al mondo la sua creazione; non già il copione che gli artisti sono chiamati a interpretare sul palcoscenico e che gli spettatori applaudiranno o disapproveranno a seconda degli umori e di circostanze imponderabili che non hanno nulla a vedere col valore intrinseco dell’opera. Si può dire senza sfiorare il paradosso, che se d’Annunzio non avesse conosciuto mai le preoccupazioni dovute alla mancanza di denaro, avrebbe scritto i suoi drammi senza pensare alla loro rappresentazione, come Chopin scriveva i suoi «valzer» senza nessuna intenzione che servissero per ballare. La sua nota e violentissima filippica contro i critici denigratori del suo dramma « Più che l’amore », nella quale li bollò con l’appellativo celebre e poco pulito di « catoncelli stercorarii », era solo intesa a colpire i loro metodi di critica e non rappresentò mai nella sua mente una forma di risentimento personale provocato dall’insuccesso teatrale del dramma. La prova migliore che egli non prendesse mai troppo sul serio la rappresentazione dei suoi drammi e delle sue tragedie e che è il primo a scherzare sull’argomento, l’ho avuta cento volte. Un giorno in mia presenza, l’impresario del « San Sebastiano », Gabriel Astruc, gli disse: «Sono un po’ inquieto perché un gruppo di signore dell’aristocrazia francese mi ha scritto manifestando il timore che il « San Sebastiano » possa apparire una profanazione dal punto di vista cattolico. Non vorrei », concluse Astruc (che è ebreo), « che mi