D’ANNUNZIO E GLI ANIMALI 257 Cosi mi scrisse nel 1918 da Venezia, annunciandomi l’arrivo in casa del nuovo piccolo ospite: « Anch’io ho un gatto che si chiama “ Miramar” : senza perfidia e fin troppo soave ». Dopo qualche anno di vita beata, il piccolo Miramar moriva e la mia vecchia mamma, per consolare d’Annunzio della perdita gli spedi una gattina d’Angora chiamata Gin-Gin. « Amica gentile, prossima sempre se ben lontana » egli rispose, «come ringraziarvi del candidissimo dono? «Èstato un conforto inatteso, dopo l’angelica morte del mio Miramar detto ¿jxnzan dai familiari non degni del suo nome eroico ». La piccola Gin-Gin, dotata di una prolificità fantastica, in pochi anni gli partorì la bellezza di 42 gattini. Alcuni suoi discendenti spadroneggiano ancora nella cucina del Vittoriale. Ho accennato all’inizio di questo capitolo ad alcuni animali che ebbero, oltre ai cani, ai cavalli ed ai gatti, la fortuna di convivere con d’Annunzio. E li ho chiamati inferiori. Si trattava (poiché all’epoca in cui scrivo sono morti tutti e tre) di un uccello acquatico della specie dei trampolieri, battezzato dal Poeta: « Evandro »; di un pesce, « Li Tai Pè », e di una fenomenale tartaruga che borghesemente rispondeva al nome di « Carolina ». La principale dote di Evandro fu sempre quella di una grande dignità; il suo principale difetto, l’idiosincrasia per la musica sinfonica. Come dignità io ritengo che poche personalità umane ne siano state fornite a tal punto. Anche i due soldati che avevano accalappiato quell’uccello alle foci del Timavo, per farne un presente « al signor colonnello d’Annunzio », avevano avuto l’impressione che il catturato si fosse comportato con grande distinzione. Se aveva opposto qualche resistenza l’aveva fatto più