234 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO nunzio le scrivesse, e la cui triste sorte diede modo al Poeta di provare quanto egli ami le bestie ed in ispecial modo i cani. Era un cucciolo di dieci mesi e si chiamava Magog. Fu trovato, un giorno, morto stecchito, in un fosso nei pressi della Capponcina. D’Annunzio, convinto che l’uccisore fosse un colono dei dintorni che detestava i cani, sporse querela contro di lui. Caso più unico che raro, d’Annunzio questa volta si presentò all’udienza. Diamogli quindi la parola come gliela diede quel giorno il magistrato: « Il cane aveva un nome, incominciò il Poeta, che può sembrare barbarico: Magog; ma era una creatura molto viva ed affettuosa ed io devo sbigottirmi per lui di questo onore che vien reso alla sua memoria. Il fatto è molto semplice, sebbene crudelissimo. Esso era un giovane cane molto sano e forte, un levriero di razza eccellente, cucciolo di circa i o mesi. Amico di tutti, egli non aveva che il lieve difetto di scodinzolare forse eccessivamente dinanzi al primo venuto. Una mattina dello scorso giugno fu trovato in un fosso col cranio non soltanto rotto ma frantumato da colpi di randello. Non mi illude un soverchio amore dei cani se io giudico questa uccisione come una azione malvagia ed un atto di brutalità che merita di essere punito. » ...«Per concludere, questa uccisione non ha per me alcuna giustificazione. Il cane era mitissimo, tanto che io Vavevo regalato ad un bambino, figlio di un mio caro amico: il poeta Adolfo de Bosis, e il giorno dopo doveva partire per Roma. « Io credo che chiunque abbia cuore ed una natura mediocremente gentile, deve convenire che è meritevole di castigo Vautore di una crudeltà commessa sopra ma creatura cosi innocente, che, per la sua grazia appunto, avevo donato ad un bambino. Era il più mansueto dei cani. Probabilmente avrà prima leccato la mano della persona che l’avrà ucciso. » A domanda del magistrato se Magog poteva essere stato colpevole di scorreria nel podere dell’imputato, allo scopo di rubare qualche gallina, d’Annunzio risponde filosoficamente: «Non credo, perché gli altri miei vicini fanno una gen-