572 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO Molo. E poiché questa specie di « amministrazione affettiva » il Tenneroni la esercitò rimanendo imperterrito a Roma, gli amici di d’Annunzio lo battezzarono scherzosamente: « Il Comandante del Deposito ». Non solo durante la guerra, ma durante tutta la sua vita egli tremò per la vita di d’Annunzio, amò e stimò coloro che lo amavano e stimavano, odiò coloro che non lo amavano e non lo comprendevano, e (esempio di disinteresse unico al mondo) non gli chiese mai nulla in compenso, fuorché la gioia di rivederlo e di riabbracciarlo di tanto in tanto. Più alta e più pura amicizia non si potrebbe concepire. Non si trattava più neppure di un’amicizia: era un culto, una dedizione completa che non ammetteva né la discussione né il ragionamento. D’Annunzio lo senti; lo comprese e contraccambiò questo sentimento « ultra-umano » con tutto l’affetto che il suo cuore era capace di esprimere. Talvolta quel completo annientamento, a suo favore, di uno spirito, di una volontà, di una capacità di giudizio, lo stupiva come una cosa incomprensibile e lo rendeva meditabondo. Guardava allora il buon Tenneroni dagli occhi di vecchio cane bracco, e sorrideva come dinanzi ad uno spettacolo talmente inconcepibile da diventare persino buffo. Lo chiamò sempre: « il mio candido fratello ». Tenneroni considerava d’Annunzio più ancora che come il « superuomo» di buona memoria, come un «semidio»; e ciò non solo dal punto di vista del suo genio creatore e del suo eroismo, ma in tutti gli atti più normali e comuni della sua vita. Per esempio, secondo Tenneroni, d’Annunzio non doveva andar soggetto ad alcuna legge del Codice. Non dimenticherò mai il suo contegno tra lo stupito e lo sdegnato, un giorno in cui gli capitò fra le mani, all’ “Hotel Regina” di Roma, il conto che un cappellaio aveva inviato al Poeta dopo sei mesi dall’awenuta consegna di una decina di svariati cappelli. Lo guardò, inforcò gli occhiali