D’ANNUNZIO E GLI ANIMALI 263 monta ora la guardia fra le pieghe di una tenda in pelle di daino grigia, alla soglia della Camera del Lebbroso, nel Vittoriale. Questo capitolo non sarebbe completo se io non accennassi, anche, ad un attaccamento superstizioso, per non dire addirittura misterioso, che d’Annunzio provò per un animale... leggendario: la Sfinge. Cosi come nella sua giovinezza aveva amato di riconoscenza quella Chimera d’Arezzo ch’era stata presente e pronuba delle sue prime carezze d’amore, egli amò nella sua maturità una Sfinge di pietra. Era una di quelle rare sfingi settecentesche dell’epoca di Clodion delle quali si trova ancora qualche raro esemplare nei giardini di Francia e che, invece di una testa di donna egizia, portano sul corpo bestiale, una testa di dama incipriata. Durante il suo soggiorno a Parigi egli si recava spesso a vederla e (non so se per celia o seriamente) la consultava prima di prendere una decisione importante.