88 VITA SEGRETA DI GABRIELE D'ANNUNZIO R. R. mi mette in furore. Arrivederci». E firma scherzosamente: « Gabriel, il poverello di Cristo ». Questa era la condizione dell’uomo venduto allo straniero, tre giorni prima di entrare in Italia. Una volta poi entrato, e per essere rimasto un mese all’Hòtel Regina di Roma, si trovò tanto sbilanciato che non riuscì a saldare completamente il conto dell’albergo se non due anni e mezzo dopo, tanto è vero che nel gennaio 1916 mi scriveva da Venezia: « Io sono in gravissime angustie, cosi che non ho potuto pagare neppure Valbergo ». E il 2 dicembre dello stesso 1916, mi scrisse a Parigi, da Venezia: « Il buon Ricciardi (1) deve venire a Parigi. Ma egli aspetta che io gli mandi (a Roma) la somma necessaria a ritirare i miei bauli dall' Albergo Regina per portarmeli a Venezia ». E nel dicembre del 1918 rispondendo ad una mia proposta d'affari editoriali, concludeva mestamente: « Non so di quale affare tu voglia parlarmi. Certo, ho bisogno di danaro. Quando partii per Quarto impegnai i miei anelli a pagare le spese del viaggio. Finita la guerra mi ritrovo nella miseria piti nera. E non ho nessuna voglia di ricominciare a fare il letterato ». Di dicerie sorte e sviluppatesi a Fiume durante il periodo dell’occupazione dannunziana, contrariamente a quanto sarebbe lecito supporre, ve ne furono poche. Ed è facile comprenderne il perché. La conquista di Fiume fu leggendaria come tutte le epopee. In un gigantesco incendio al quale assiste il mondo intero è difficile che possano trovar posto piccoli e serpeggianti fuochi fatui. In quell’epoca la Leggenda abbandona temporaneamente l’Uomo e si diletta a drappeggiare l’Eroe. È troppo furba (1) Achilie Ricciardi, scrittore abruzzese, amico intimo del Poeta,