d'annunzio e la politica 555 trovato, alla fine del dicembre del 1920, di provocare un moto rivoluzionario in favore di Fiume e di una nuova Italia. Certo, fra loro, un programma comune da quel giorno fu tracciato almeno nelle sue grandi linee. Ma è altrettanto sicuro che da quel giorno gli avversari dichiarati del Fascismo, socialisti e comunisti, non appena partito Mussolini intrapresero sull’animo del Comandante chiuso in Cargnacco un lavoro di sfaldamento e di disgregazione assai più pertinace e sottile di quello che, cogli stessi identici scopi e senza riuscirvi, avevano cercato di compiere tempo innanzi. Il loro tentativo non era solamente un atto spiegabile. Essi lottavano oramai, e lo sapevano, per la loro esistenza politica, stretti com’erano dalla implacabile muta dei fascisti che non dava loro tregua. E non solo tentavano di agire sull’animo del Comandante con le menzogne ma, molto abilmente, cercavano seminare la discordia tra legionari e fascisti. I legionari (quelli che non s’erano già inquadrati nei Fasci) sparsi per l’Italia, insoddisfatti nelle loro aspirazioni, privi di riconoscimenti morali e materiali del sacrificio da loro compiuto, disuniti, indecisi sul da farsi, avviliti dalla lunga inazione forzata, ricorrevano naturalmente al loro capo come all’unica luce che ancora potesse guidarli. Dal canto suo d’Annunzio non poteva né riceverli tutti né parlare con tutti. Ed allora risolveva o credeva risolvere quella penosa e pericolosa situazione promettendo loro con* successivi proclami, con lettere, con discorsi che tutti conoscono, una specie di regno futuro, di nuova Italia, fatta d’eroismo, di fede e di sacrificio e di fratellanza sociale. Erano promesse nebulose, espresse in forma sibillina e concretate pel momento in una specie di obbligatoria attesa che non si comprendeva bene dove dovesse sboccare. Probabilmente non lo sapeva neppur lui. Le sue lettere private ai fedelissimi parlavano di aurore non ancor nate, di premi futuri a coloro che avevano continuato a credere in