D’ANNUNZIO GIUDICA SE STESSO E GLI ALTRI 141 E concluse con l’intonazione più seria del mondo: « È sperabile che un giorno potremo vedere anche lo scudo che Vulcano fabbricò per Achille ». Boito lo guardò sorridendo sotto gli occhiali; ma il buon Giacosa, che era un ingenuo, rispose colla massima serietà: «Ma certo! un giorno o l’altro lo troveranno. Allora si vedrà, almeno, se corrisponde alla descrizione d’Omero ». I rapporti di d’Annunzio con Franz Liszt furono pure cordialissimi. II Poeta l’aveva conosciuto a Roma, nello studio dello scultore americano Ezekiel, che stava eseguendo il busto del musicista. Liszt abitava allora a Villa d’Este, a Tivoli. Il musicista compiacente eseguiva spesso, per l’amico poeta, musica sua e d’altri, per ore ed ore, fino a notte alta. La luna entrava a fiotti dalla grande terrazza che guardava i cipressi di Villa d’Este, quella terrazza in cui, trent’anni più tardi, d’Annunzio doveva « situare » l’ultimo atto del suo dramma: « Le Chèvrefeuille ». Il pianoforte Steinway su cui il grande musicista suonava (lo stesso sul quale Wagner aveva anni prima composta una parte del « Tristano e Isotta » ) era destinato, per uno strano favore della sorte, a divenire proprietà di d’Annunzio nel 1921, quando egli, come raccontai, ebbe comperata la villa che doveva mutarsi poi nel Vittoriale. D’Annunzio parla la prima volta di Liszt, dopo un concerto a Roma nel Palazzo Doria Pamphyli, nel 1885: « Appena cessò Vultima battuta della “Marcia funebre” comparve nella sala Franz Liszt in compagnia di Giovanni Sgambati. I due ben chiomati maestri attraversarono la folla fra un mormorio di curiosità e di ammirazione. La capelliera metallica di Franz Liszt era più lucida e più rigida che mai. La molle capelliera oleosa di Giovanni Sgambati tremolava commossa intorno alla tonda faccia. « Liszt sedette vicino all'orchestra, in un’attitudine raccolta, per