D’ANNUNZIO GIUDICA SE STESSO E GLI ALTRI I43 Vi fu, nella vita di d’Annunzio, un grande compositore che egli non riuscì a conoscere personalmente e non certo perché gliene fosse mancato il desiderio o perché il musicista vi si fosse rifiutato, ma unicamente per l’eccesso di zelo di un domestico. « Quando mi trovavo a Parigi per la “Città Morta” » mi raccontò un giorno d’Annunzio a Cargnacco « io chiesi ed ottenni di visitare Gounod, che in quei tempi ammiravo moltissimo. « Varcai timidamente la soglia della casa del grande maestro e non appena entrato in anticamera giunse alle mie orecchie un sommesso suono d'organo. « Stavo per dirigermi verso la stanza da dove mi giungeva quella mormorata melodia, quando il domestico che m’aveva introdotto mi si ripresentò davanti e, ponendosi un dito sulla bocca, pronunziò con riverenza queste parole: "Le maître pense”. « Fui tanto impressionato che me la svignai. Fu cosi che persi per sempre l’occasione di conoscere l’autore del “Faust”. » D’Annunzio sorrise a quel ricordo, poi aggiunse: « È un sistema che voglio adottare anch’io qui a Cargnacco, dove ogni giorno il numero degli scocciatori aumenta e dove, invece, vorrei accordarmi un po’ di riposo di spirito e di corpo. « Ma per non darmi soverchia importanza » concluse « mi limiterò a far dire dai miei domestici: “Le maître dort”. » L’umorismo innato di d’Annunzio, cosi poco conosciuto da coloro che si sono occupati della sua vita e dello studio della sua mentalità (1), ha naturalmente delle ripercussioni (1) Non ho mai compreso perché tutti costoro abbiano provato sempre il bisogno di circonfondere l’esistenza di d’Annunzio di un’atmosfera di costante per quanto leggera mestizia, quasi che la malinconia fosse una delle prevalenti caratteristiche del suo spirito. Mentre in realtà è tutto il contrario.