d’annunzio e i suoi collaboratori 473 mente da cinque grandi scrittori, fra i quali Flaubert, Zola e Maupassant. Più recentemente in Italia, il genere fu ritentato da dieci scrittori. Il romanzo aveva per titolo: « Lo Zar non è morto ». Tanto il romanzo francese quanto quello italiano non hanno avuto che un successo di curiosità. Ognuno, in queste collaborazioni multiple, perde la propria personalità a tutto detrimento dell’opera, che appare alla lettura sconnessa, appiccicata, e totalmente mancante di quella che si può chiamare, in letteratura, la spina dorsale di un lavoro. Di nessuno dei tre suaccennati generi di collaborazione si trova traccia dell’opera di d’Annunzio. I suoi poemi, i suoi romanzi, i suoi racconti, le sue novelle, le sue tragedie, i suoi drammi, le sue orazioni, i suoi discorsi, i suoi articoli di giornale, le sue lettere ufficiali e intime, i suoi telegrammi, i suoi più insignificanti biglietti di ringraziamento o di scusa, portino o non portino la sua firma, furono tutti, senza eccezione, pensati e scritti da d’Annunzio, unicamente da d’Annunzio. Gollaborare, vale a dire dividere con un altro cervello la responsabilità di una creazione o di una esecuzione, sia pure in via eccezionale, come è accaduto a moltissimi scrittori d’ogni epoca, fu sempre per d’Annunzio una impossibilità mentale e, oserei dire, fisica. Anche volendolo, anche mettendovi la miglior buona volontà, egli non*ne sarebbe stato capace. A titolo, ben inteso, unicamente scherzoso, voglio rammentare un episodio di pseudo-collaborazione dannunziana. Se lo racconto, è solo per dimostrare quanto il giudizio degli uomini, anche intelligenti, sia quasi sempre basato su preconcetti. Avendo io offerto nel 1911 all’impresario teatrale Re Riccardi di tradurgli in versi italiani una breve commedia di Edmond Rostand, dal titolo « Le deux Pierrots », egli,